3. Avventura a Baghdad
di Massimiliano della Rocca
NOTA: Questo racconto è frutto esclusivo della mia fantasia (fantasia malata, dirà qualcuno). Fatti e persone sono quasi immaginari, ed ogni somiglianza alla realtà è più o meno puramente casuale.
QUESTO RACCONTO È DEDICATO A MAINARDO BENARDELLI, FUNZIONARIO DEL MINISTERO DEGLI ESTERI ATTUALMENTE DI STANZA A BAGHDAD ED EX-AUC SMALP, ED A TUTTI GLI ALTRI RAGAZZI CHE LAVORANO CON LUI NELLA CAPITALE IRACHENA – NELLA SPERANZA DI FARVI PASSARE QUALCHE MINUTO SERENO.
CAP. 1 – DISTRAZIONI
“Ammazzete oh, chebbona! Guardate Marescià, guardate: quelle zinne le faranno scoppiare la camicietta! Mannaggia, ci potessi mettere su le mani...”
L’Appuntato Totunno non smetteva di tormentare con le sue uscite grossolane il povero Maresciallo Cacace, il cui equilibrio mentale era già messo a dura prova dai pensieri conturbanti che gli procuravano le grazie procaci della nuova dirimpettaia. Da quando il Capitano Annamaria Figòn (ma lei lo pronunciava “Fìgon”, che fa più chic) era arrivata al SisMax, installandosi nell’ufficio di fronte a quello di Totunno e Cacace, questi passavano il tempo a spiare la bella Ufficiale, nella speranza – vana, ahimè – che dalla severa uniforme trapelasse qualche scorcio anatomico. Invece no: gli abiti, per quanto “stirati” all’inverosimile dalle forme (sode) della giovane, vuoi per lo stile castigato, vuoi per i miracoli della tecnologia manufatturiera, finivano sempre per nascondere ciò che i due sottufficiali dovevano limitarsi ad immaginare. Del resto il Capitano apparteneva a quella sparuta categoria di donne che avrebbe ben figurato pur infagottata in un saio francescano: la rigida uniforme del SisMax mai sarebbe riuscita ad occultarne il fisico atletico. E poi i lunghi capelli biondi, raccolti con finta noncuranza in una crocchia, il filo di trucco, i modesti orecchini con una perla, i grandi occhi verdi, il delicato nasino all’insù, le belle labbra, le dita affusolate, la vita sottile, le lunghe gambe, le caviglie snelle... Insomma: era una gran bella giovane, e non c’era da stupirsi che i sottufficiali dirimpettai ne provocassero continuamente l’irritazione (non si sa fino a che punto solo ostentata), ammirandola senza neppur tentare di salvare le forme.
Proprio mentre Totunno raccoglieva un documento lasciato cadere di proposito, nella speranza di poter rubare una sbirciatina alle sue cosce, il telefono di Annamaria suonò ed ella ebbe un tuffo al cuore non appena capì che la chiamata proveniva dal Maggiore Enrico Mandolòn.
“Capitano, può salire un secondo?” chiese Mandolòn, cortese ma impersonale come sempre. Con un sospiro il Capitano Figòn constatò l’assoluta mancanza di ogni accento di simpatia personale, poi rassettò rapidamente l’acconciatura e salì al sesto piano.
***
“Capitano, stamattina ci è arrivato questo messaggio cifrato da Baghdad, le chiedo di decodificarlo con la rapidità, precisione e discrezione che la contraddistigono. E questo è quanto.” Un tipo di poche parole, il Maggiore Enrico Mandolòn.
Annamaria Figòn tornò al proprio ufficio, incurante degli ammiccamenti che le lanciava Totunno, e cominciò subito la decodifica. Si trattava di un codice particolarmente complicato, noto nell’ambiente dei servizi segreti come “Codice Tango-Lima”, utilizzato nei casi di comunicazioni altamente confidenziali.
Come anticipato da Mandolòn il messaggio proveniva da Baghdad, ne era autore il capo ufficio cifra dell’ambasciata Italiana in Iraq, Maninalto Biscarelli. Costui - assieme a Mandolòn ed ad una ristretta èlite di Ufficiali di Complemento passati per la celeberrima Scuola Militare Alpina (SMAlp) di Aosta - apparteneva alla calotta dell’associazione cibernetica scuolalpina.it. In passato il gruppo era stato oggetto di inchieste all’interno stesso del SisMax, essendo sospettato di attività sovversive volte alla ricostituzione dell’oramai disciolto Corpo della Fanteria Alpina, ma l’accusa non era mai stata provata. I partecipanti al gruppo erano risultati essere cittadini integerrimi, magari un po’ originali, ma sostanzialmente innoqui. Tutti, tranne X: già capocorso del cento-trent’x-esimo corso (con x dispari) e nipote dell’omonimo uomo politico, un tempo alquanto influente - questi aveva ricoperto importanti cariche di governo, ma era caduto in disgrazia per una brutta faccenda di corruzione. Fin dai tempi della sua permanenza alla SMAlp, X aveva dimostrato la propensione all’intrallazzo: con un pretesto aveva sfruttato l’influenza dello zio per far allontanare un brillante allievo che minacciava di soffiargli il posto di capocorso. Questo allievo aveva poi fatto carriera nell’arma dei Carabinieri, e successivamente nel SisMax, arrivando a ricoprire il posto di capo dell’ufficio per il controllo delle attività informatiche illegali: era proprio il Maggiore Enrico Mandolòn. Nel corso degli anni, X aveva invece continuato a coltivare le proprie tendenze all’illegalità, si era evoluto in un criminale internazionale e si dedicava a tutta una serie di affari sporchi. Solitamente tirava le fila della sua rete criminale da una zona franca dei Balcani, ma ultimamente era scomparso dalla circolazione, provocando la frustazione del Maggiore Mandolòn, che aveva due ottimi motivi (uno professionale e l’altro personale) per dargli la caccia.
CAP. 2 – IL MESSAGGIO SEGRETO
DA: CAPO UFFICIO CIFRA – AMBASCIATA ITALIANA IRAQ
A: CAPO UFFICIO CONTROLLO ATTIVITÀ INFORMATICHE ILLEGALI – ROMA
OGGETTO: ATTIVITÀ DESTABILIZZATRICI BASATE SU INTERNET SEGNALATE IN ZONA COMPETENZA CODESTA AMBASCIATA – STOP - INCAPACE FARE FRONTE ALLA SITUAZIONE - STOP - URGONO RINFORZI – STOP - VIVA LA FOXTROTA – STOP - MANINALTO
Il Capitano Figòn, perplessa per l’enigmatico finale del messaggio – si trattava sicuramente di un codice la cui interpretazione richiedeva un livello di clearance più elevato del suo - richiuse originale e cifratura in una busta sigillata e li consegnò personalmente al Maggiore Mandolòn, la cui vicinanza, come sempre, la fece palpitare.
***
Nel corso della riunione settimanale dello Stato Maggiore del SisMax, il Generale Ciabatta ascoltava con attenzione la relazione del Maggiore Mandolòn:
“Con l’occupazione americana e la caduta del regime di Saddam Hussein, l’Iraq sta passando un periodo difficilissimo, e gli estremisti anti-occidentali imperversano quasi industurbati. I rinforzi che ci richiede Biscarelli si troveranno ad operare in ambiente altamente ostile, dobbiamo inviare uno specialista addestrato nella difesa anti-guerriglia oltre che nella lotta al crimine informatico. Signor Generale, mandi me” concluse l’ex-alpino, che era anche paracadutista ed esperto in arti marziali.
Il subdolo Tenente Colonnello Lostrunzo, che aveva seguito l’esposizione con grande interesse, si era immediatamente reso conto che un successo di Mandolòn in una missione di simile levatura avrebbe significato una promozione automatica per il giovane Ufficiale, e quindi l’addio ai suoi personali piani di avanzamento.
“Se permettete, Signor Generale...” si intromise l’untuoso Tenente Colonnello. “Il Maggiore Mandolòn è troppo modesto. La sua presenza è assolutamente indispensabile al corretto funzionamento di codesto ufficio, non possiamo privarci di lui. Propongo pertanto di mandare al suo posto il Maresciallo Cacace, uomo espertissimo e fidato.”
A nulla servirono le argomentazioni di Mandolòn: alla fine l’eloquenza partenopea di Lostrunzo ebbe la meglio sulla debole volontà del Generale, che combatteva un’impari battaglia su due fronti (il primo lo aveva aperto molto tempo prima un certo signor Haltzeimer...)
***
“Minchia Marescià, siete più bello di Alibabbà!” Il Tenente Colonnello Lostrunzo rimirava la sua più riuscita opera di travestimento (di un altro), mentre il povero Cacace fremeva, con i piedi piatti nascosti da un paio di babbucce dalla punta all’insù - dono della zia Concetta, pace all’anima sua - e la testa avviluppata in una vecchia sciarpa, tramutata per l’occasione in turbante improvvisato.
“Ma siete sicuro, signor Colonnello? Questa impresa pericolosa assai mi sembra...” balbettava frastornato il povero sottufficiale. Proprio lui, che non era uscito dalla provincia di Agrigento fino all’età di trent’anni, proprio lui dovevano mandare in Mesopotamia...
“Eh via, come siete fifone, Marascià! Non abbiate timore, non vi fidate più dei vostri superiori? Io a tutto pensai, anche e soprattutto alla vostra incolumità: eccovi un’arma letale per l’autodifesa, sicuramente passerà inosservata in quell’ambiente pagano...” E sfoderò con un sorriso una gigantesca scimitarra di latta confiscata a Cinecittà, che agganciò con pompa alla fascia vermiglia che serrava in vita le larghe braghe da pigiama recuperate al mercatino di Porta Portese, mentre il prepotente ventre nudo del sottufficiale penzolava floscio, facendo una gran brutta figura. “Ecco Marescià, ora sarete al sicuro!” esclamò Lostrunzo, ed appioppò una gran manata tra le scapole del povero Cacace che, avendo già virato al verde pallido alla vista della scimitarra... svenì.
CAP. 3 – MISSIONE SPECIALE. ANZI, SPECIALISSIMA.
Il C-130 dell’Aeronautica Militare non aveva ancora smesso di rollare sulla pista sconnessa dell’aereoporto internazionale di Baghdad, illuminata a giorno dalle potenti fotoelettriche e difesa da un massiccio contingente di US marines in assetto da guerra, quando dal portellone laterale un’agile figura in uniforme da servizio e combattimento saltò a terra, dirigendosi con passo deciso verso l’alto funzionario dell’ambasciata che l’aspettava.
“Il signor Maninalto Biscarelli?” chiese il nuovo arrivato, schiaffandosi sull’attenti e salutando militarmente.
“Benvenuto, Capitano. Stia comodo e mi segua, prego” rispose l’alto funzionario, mentre il suo interlocutore si toglieva il casco da volo e dipanava i lunghi capelli biondi scuotendoli nell’aria polverosa della capitale irachena.
Dopo aver percorso il quindici chilometri che separano l’aereoporto dalla città di Baghdad sdraiati sul fondo della vettura, per evitare di segnalare la presenza di un bersaglio ai terroristi che controllavano la strada di accesso, Biscarelli e Figòn arrivarono alla “zona verde”, un rettangolo di terreno nel cuore della città altamente sorvegliato e pertanto relativamente sicuro, sede del comando delle forze alleate e delle rappresentanze diplomatiche occidentali.
“Si accomodi Capitano” disse Biscarelli, facendo strada nel suo ufficio sotteraneo. “Lei conosce già il Capitano Hasta-Luego, mi risulta...”
“Certo che sì, signor Biscarelli. Come stai, Simbad?” rispose Annamaria Figòn, tendendo la mano al compagno di Accademia passato al “Tuscania”, il Capitano Simbad Hasta-Luego di Venezia, che si era alzato all’ingresso della signora e del superiore.
“Bene, Capitano,” riprese Biscarelli, terminati i convenevoli, “mi permetta di spiegarle la situazione. Abbiamo intercettato recentemente delle trasmissioni internet provenienti dalla zona di Rawanduz, una regione montuosa ed inacessibile ai confini con l’Iran e la Turchia. Trattasi di farneticazioni senza senso, illazioni che attaccano e minacciano personalmente il personale Italiano, sia quello dell’ambasciata di Baghdad – me, nella fattispecie – che quello dell’ufficio di Roma, in particolare il suo superiore Maggiore Mandolòn. Al momento ignoriamo l’origine esatta dei messaggi, ma sicuramente provengono da qualcuno che conosce molto bene la nostra organizzazione. E poi, devono venire da qualcuno che ha ottimi contatti coi ribelli, poichè quella zona è controllata dagli estremisti e neppure i berretti verdi osano mettervi il naso. Infine, deve trattarsi di qualcuno che conosce bene l’ambiente montano: quelle montagne non perdonano, e non tutti riescono ad arrivarci –non parliamo di sopravviverci e di creare una struttura collegata ad internet... In situazioni normali non diamo peso alle minacce anonime, ma viste le circostanze... non mi sembra il caso di lasciare nulla al caso. Perciò ho chiesto rinforzi, ed eccola qui, Capitano. Ho deciso di affidarle le indagini su questa sporca faccenda, mentre della sua incolumità sarà responsabile il qui presente Capitano Hasta-Luego. Adesso vada, indaghi e riferisca.”
***
“Anna Maria, sei più bella che mai!” esclamò Hasta-Luego, non appena la porta dell’ufficio di Biscarelli fu chiusa. I due giovani, un po’ di più che semplici compagni di studi, si abbracciarono con trasporto.
“Anche tu mi sembri in forma, Simbad!” rispose lei, rimirando le forme atletiche del giovane amico. “Si direbbe che la vita al distaccamento ti faccia bene! Ma come fai a mantenerti in forma in questo buco?”
“Non giudicare dalle apparenze, Anna Maria: qui c’è da divertirsi molto più di quanto sembra...”
Simbad sembrava saperla lunga... Evidentemente la perfetta padronanza della lingua e della cultura araba, apprese da bambino giocando nel quartiere della Fondamenta dei Turchi, gli avevano dato la possibilità di esplorare e conoscere la città meglio di tanti altri “esperti”. E poi, in fondo, non faceva che ricalcare le orme che avevano tracciato innumerevoli generazioni di suoi antenati nel corso dei secolari incontri e scontri che legano la storia della Serenissima con l’Islam.
“Dài, cambiati che ti porto in un posto come non ne hai visto mai... o forse preferisci riposare?”
“Non sono poi così invecchiata, Simbad: scommetto che riesco ancora a metterti a letto ciucco morto!”
“Raccolgo la sfida!” rispose lui e, presale la mano, la condusse verso il suo alloggio.
“Cinque minuti?”
“Cinque minuti!”
Esattamente duecentonovantanove secondi dopo la giovane donna, abituata dalla vita militare a prepararsi in tempo zero, fece capolino. Come avesse fatto a fare una doccia, cambiarsi e truccarsi in così poco tempo è un mistero che non rivelerò (certo che... magari mia moglie avesse sviluppato una tale maestrìa...)
***
Annamaria era bellissima nella sua uniforme stirata di fresco: il solito filo di trucco ne metteva in risalto gli occhi luminosi e le labbra turgide, mentre i biondi capelli setati le ricadevano morbidi sulle spalle.
“Dove mi porti, Simbad? domandò, attaccandosi al braccio dell’aitante compagno.
“Sorpresa, vedrai...” rispose misterioso lui, accompagnandola verso il parcheggio delle vetture dei funzionari.
La partenza dall’area riservata fu meno drammatica di quello che Hasta-Luego avrebbe preferito: colpa della vecchia AR76, che al confronto con le esagerate Hummers degli alleati faceva la figura della Cinquecento di Renato Pozzetto in un celebre film... Incuranti delle apparenze, i due giovani traversarono la carraia della zona verde sghignazzando come scolaretti, lasciandosi dietro un manipolo di cazzutissimi US Marines indecisi se deridere la bagnarola o sbavare alla vista della splendida donna... e fecero entrambi.
Simbad guidò a lungo tra le rovine della capitale, conseguenza dei bombardamenti alleati e delle auto-bomba dei ribelli, per fermarsi infine nei pressi di una catapecchia isolata della periferia.
“Benvenuta nel migliore ristorante di Baghdad!”
“Mi stai prendendo in giro, Simbad?”
“Certo che no. Entra!” E, presala per la mano, la condusse verso l’ingresso della casupola, dove un guardiano dall’aspetto terrifficante fece un cenno di riconoscimento nei confronti dell’Ufficiale Italiano e si scostò per lasciarli entrare.
Fu come traversare una porta spazio-temporale: l’interno era sontuoso, con antichi tappeti raffiguranti scene di caccia appesi ai muri, fontane zampillanti ed una leggera musica mediorientale. Deliziose odalische dal corpo ricoperto di sete traslucide si muovevano leggere tra i tavoli, ed era difficile stabilire se stessero danzando o servendo gli avventori. I tavoli erano occupati da una raffinata clientela mista: uomini d’affari occidentali ed orientali che parlottavano a bassa voce, alti funzionari delle ambasciate che si scambiavano i segreti della giornata, qualche ufficiale superiore in compagnia di un’amichetta. Un tavolo riservato aspettava Hasta-Luego e la sua compagna in un angolo tranquillo.
La cena fu deliziosa, un menù raffinato che comprendeva sia le più delicate leccornie della cucina internazionale che i piatti più squisiti della tradizione mediorientale. Cominciò con un risotto ai tartufi d’Alba e finì con una Bakalavah preparata con il miglior miele della Mesopotamia, il tutto innaffiato da abbondanti dosi di Champagne fresco, che ravvivava il buonumore e facilitava le confidenze.
***
Quando uscirono, Anna Maria e Simbad erano appena un po’ brilli, quel tanto che bastava per acuire i sensi ed i desideri. Si baciarono con trasporto, appoggiati sul cofano della vecchia Campagnola Fiat.
“Portami via, lontano...”
“Il mio tappeto volante ti attende! Signora, in carrozza!!!”
E si allontanarono, felici ed incoscenti, senza accorgersi che il guardiano, che li aveva tenuti d’occhio per tutta sera, mise mano al cellulare non appena furono spariti tra le ombre che s’incuneavano tra le rovine...
***
Non ci volle molto ad arrivare all’alcova segreta di Simbad Hasta-Luego: uno dei palazzi presidenziali di Saddam Hussein, completamente rovinato all’esterno, ma miracolosamente intatto all’interno. Per motivi inspiegabili era stato trascurato sia dalle truppe alleate che dai ribelli anti-occidentali, al punto che solo Simbad sembrava sapere della sua esistenza. L’aveva scoperto per caso durante una perlustrazione e aveva tenuto la notizia per se, in attesa di notti come questa. L’ambiente da fiaba rimandava ai racconti magici delle Mille e una Notte, con alte volte sorrette da arditi pilastri intrecciati, fantastici mosaici e chiostri, circondati da delicati archi intarsiati. Anna Maria, senza fiato per lo stupore, volle esplorare tutti i locali e, mentre Simbad la rincorreva ridendo tra le stanze deserte, la sorpresa della scoperta si tramutava via via in un’eccitazione sensuale. Fu così che finirono in un’alcova che sicuramente era appartenuta ad un Sultano, con un enorme letto rotondo ricoperto di raso rosso appena impolverato: qui Annamaria arrestò la propria corsa, si girò per lasciarsi acchiappare e si avvinghiò al suo giovane amante, facendolo cadere sul letto sopra di sé.
“Prendimi, Simbad-il-marinaio!” sussurrò eccitata, sfilandosi con disinvoltura la giacca ed i castigati pantaloni della divisa, ed armeggiando con la cravatta di Simbad. La camicia faticava a nascondere le mutandine di raso nero, la cui vista fugace potrebbe aver fatto dubitare per un istante della veridicità del colore biondo dei capelli di lei... ma Simbad aveva già avuto modo di verificare ai tempi all’accademia che era bionda per davvero.
Fu in quel momento che i banditi entrarono, col Kalashnikov spiegato. Irsuti e puzzolenti, tramutarono istantaneamente l’eccitazione in paura nei petto dei giovani Ufficiali Italiani che si erano fatti cogliere – letteralmente – a brache calate.
CAP. 4 – I RICHIAMI
DA: DISTRETTO MILITARE DI XXX
A: NH CAP. F.A. LUCA GALIMBA
LA SV È COMANDATA A PRESENTARSI ENTRO LE ORE 12 DEL GIORNO 15 C.M. ALLA SEDE DEL BATTAGLIONE ALPINI TRENTO, PRESSO LA CASERMA LUGRAMANI DI BRUNICO (BZ), PER UN PERIODO ADDESTRATIVO DI DURATA NON INFERIORE A MESI SEI.
DA: DISTRETTO MILITARE DI YYY
A: NH TEN. F.A. ADALGISO GIRURTO
LA SV È COMANDATA A PRESENTARSI ENTRO LE ORE 12 DEL GIORNO 15 C.M. ALLA SEDE DEL BATTAGLIONE ALPINI TRENTO, PRESSO LA CASERMA LUGRAMANI DI BRUNICO (BZ), PER UN PERIODO ADDESTRATIVO DI DURATA NON INFERIORE A MESI SEI.
DA: DISTRETTO MILITARE DI ZZZ
A: NH TEN. F.A. ROSOLINO DELCARDI
LA SV È COMANDATA A PRESENTARSI ENTRO LE ORE 12 DEL GIORNO 15 C.M. ALLA SEDE DEL BATTAGLIONE ALPINI TRENTO, PRESSO LA CASERMA LUGRAMANI DI BRUNICO (BZ), PER UN PERIODO ADDESTRATIVO DI DURATA NON INFERIORE A MESI SEI.
***
I tre richiamati s’incontrarono la mattina del 15 alla porta carraia della caserma Lugramani, ognuno ignaro del richiamo degli altri due.
I Tenenti Adalgiso Girurto e Rosolino Del Cardi si conoscevano bene: dopo aver completato insieme il cento-x-esimo (con x dispari) corso alla Scuola Militare Alpina di Aosta, avevano entrambi svolto il servizio di prima nomina in qualità di istruttori alla Scuola, dove si erano distinti per la propensione alla sevizia ai danni degli allievi dei corsi successivi.
Il Capitano Luca Galimba, benchè più giovane – di ben cinque corsi rispetto ai due cerberi di cui sopra; e infatti ne aveva subito le sevizie durante i primi giorni di corso - aveva raggiunto un grado più elevato grazie alla maggiore intelligenza (non che ci volesse poi molto) ed alla migliore preparazione derivante dall’innegabile vantaggio di aver frequentato un corso pari.
“Figliooo che cazzo guarda, lefighechevolano? La ficco dentroooo!!!” gli sbraitarono all’unisono Girurto e Del Cardi, non appena scoprirono che si trattava di un loro discendente smalpino. Galimba, per rimettere la situazione a posto non sfruttò la superiorità di grado: gli bastò la naturale attitudine al comando ed un pizzico dell’abbissale differenza in QI.
I tre richiamati furono assegnati alla 145a Compagnia Fucilieri, la “Terribile”. La gloriosa unità, un tempo fiore all’occhiello delle truppe alpine ma poi disciolta per motivi di bilancio, era stata recentemente ricostituita allo scopo di assicurare il pronto intervento e stava per iniziare il periodo di massima allerta: la situazione ideale per ritemprare lo spirito di un manipolo di Ufficiali della Riserva. Capitan Galimba prese quindi il comando ed in poco tempo, grazie alla ferrea determinazione di tutti, la “Terribile” era di nuovo in grado di far fronte a qualsiasi emergenza.
CAP. 5 – DALLE STELLE ALLE STALLE ALLE STELLE
Nel corso del lungo tragitto, lo scassatissimo furgoncino (che normalmente era adibito al trasporto caprino) incappò in numerosi posti di blocco, nonostante i conducenti avessero scelto con cura di evitare le strade principali ed i centri più affollati. Ma gli addetti non si avvicinavano mai a sufficenza per notare il doppio fondo, dissimulato dalla paglia, nel quale erano stati nascosti, legati ed imbavagliati, i due agenti del SisMax. Tutto merito del puzzo dei caproni, di fronte al quale anche la più sofisticata difesa anti-NBC era impotente, ed i terrificanti mastini delle unità cinofile recalcitravano, uggiolando come cuccioli impauriti.
Abbandonata Baghdad viaggiando verso nord-est per far perdere le tracce, una volta arrivati nei pressi di Jalula, cominciarono ad inoltrarsi nella catena dei monti Zagros, piegando verso nord ma evitando accuratamente di avvicinarsi troppo a Kirkuk ed agli altri centri controllati dai Curdi. Dopo tre giorni di viaggio terribile su sentieri di montagna che capre ed uomini appiedati avrebbero sicuramente percorso con meno disagio e pericolo, arrivarono infine nei pressi del monte che si erge a 3607 metri quasi a far la guardia al punto tri-cofine fra Iraq, Iran e Turchia. Fu all’imbocco di un alto valloncello situato proprio all’ombra di questo picco chiamato nel dialetto locale Kazzar-al-Salaam (“Il membro del Saladino”) che il disastrato mezzo di trasporto infine si fermò. Il paesaggio fatato, verdissimo, era completamente deserto tranne per una povera stalla di pietra, dalla quale uscirono due energumeni che abbracciarono fraternamente il conducente del camioncino. Entrarono per mangiare, lasciando il loro carico umano a patire ancora un po’ la triste detenzione al di sotto del carico caprino, ed uscirono solo a notte inoltrata.
I due ufficiali Italiani, amanti mancati, uscirono a rimirare le stelle con grande sollievo. L’ansia per la sorte che li attendeva aveva da lungo tempo perso la battaglia con il disagio causato dall’angustia del nascondiglio in cui erano stipati e, soprattutto, dal fetore dei loro compagni di viaggio, sia animali che umani. La prima zaffata di aria pura li fece barcollare, o forse furono le ginocchia, che cedevano mentre il sangue cercava di farsi strada nelle membre intorpidite. Di certo lo sfinimento causato dalla mancanza di acqua e nutrimento non migliorava la situazione.
Vennero quindi fatti uscire dal doppio fondo del camioncino e, prima che avessero avuto il tempo di riprendersi, furono spintonati lungo un erto sentiero, così ripido che anche le capre si rifiutavano di percorrerlo, con la luce delle stelle come unica guida. Il Capitano Figòn (che, come ricorderere, era stata catturata a gambe nude e continuerà a sfoggiare le aggraziate estremità per il resto della storia), soffriva particolarmente a causa delle pietre aguzze che le ferivano i piedi.
CAP. 6 – ARRIVANO I NOSTRI!
La notizia del rapimento dei due ufficiali Italiani da parte dei ribelli islamici si propagò in un baleno nell’ambiente diplomatico e spionistico. In attesa dell’arrivo del Maggiore Mandolòn, immediatamente partito da Roma per comandare le operazioni di salvataggio, Maninalto Biscarelli aveva assunto il comando e coordinava le indagini. Il suo primo atto, discusso con Mandolòn mentre questi stava sorvolando l’Egeo alla volta di Baghdad, fu di richiedere l’invio di una unità di èlite dell’esercito, per essere pronti ad intervenire non appena il luogo di detenzione degli ostaggi fosse stato identificato.
***
L’ordine di partenza immediata giunse alla caserma Lugramani nel cuore della notte. Grazie al ferreo addestramento instaurato dal Capitan Galimba, dopo meno di due ore la “Terribile”, armata di tutto punto, si imbarcava sugli elicotteri alla volta della base aerea NATO di Aviano. Destinazione: Baghdad.
CAP. 7 – RICERCHE VANE? C’È DELLA ROCCA!
“Porcozzio, Porcozzio, Porcozzioooooooo!!!! Ma dove cazzo si nascondono questi figli di troja?!!” esclamò il Maggiore Mandolòn, al massimo della frustrazione. Era già passata una settimana da quando la “Terribile” aveva iniziato le ricerche degli Ufficiali sequestrati, ma questi sembravano essere scomparsi senza lasciare traccia. Il primo giorno Capitan Galimba, alla testa dei suoi uomini, aveva rintracciato il ristorante dove avevano cenato Hasta-Luego e Figòn: tutti si ricordavano di loro, ma nessuno aveva saputo fornire notizie utili al ritrovamento. Poi fu la volta dell’AR, ritrovata bruciata in periferia: calcinata per eliminare le tracce o – come aveva suggerito malizioso Galimba - perchè perfino i terroristi islamici si sarebbero vergognati di farcisi vedere? Infine, grazie alle reminescenze di una graziosa segretaria dell’ambasciata, che in un paio di occasioni aveva avuto l’onore di visitare l’alcova segreta di Hasta-Luego, fu ritrovato e passato al setaccio il luogo del sequestro. Neppure l’esame dei vestiti abbandonati da Anna Maria Figòn rivelò alcunchè di utile alle indagini – se si eccetuano alcune tracce di umore femminile nella zona del cavallo delle braghe. Poi, più niente: la 145a aveva passato al setaccio fine città e dintorni, ma – se si esclude la misteriosa scomparsa del buttafuori del ristorante - non c’erano nè indizi nè sospetti.
“Niente, niente, niente via niente.” confermò sconsolato Galimba, mentre Biscarelli era al telefono cercando di rassicurare i superiori e di sviare le attenzioni sempre più morbose della stampa internazionale. I tre ufficiali, temprati dai rigori della Scuola Militare Alpina, non erano uomini da lasciarsi abbattere dalle circostanze avverse, ma erano a corto di idee.
“Signori, siamo alle strette. Temo per la vita dei nostri subordinati e per l’immagine internazionale del paese. Non ci resta che ricorrere ai mezzi più drastici.” dichiarò Mandolòn, levandosi di scatto con una strana luce negli occhi. “E in Italia, quando si parla di mezzi drastici, si parla di...”
“ALPINI!!!” esclamarono all’unisono Galimba e Biscarelli, entrambi fieri appartenenti al gruppo scuolalpina.it.
“Cos’hai in mente, Enrico?”
“Ascoltate...”
***
Il telefono squillò alle ore 3:37 antimeridiane ora Italiana, trascinando lentamente Della Rocca fuori dallo stato semi-comatoso indotto dai troppi grappini.
“Pronto?” mormorò con una voce d’oltretomba.
“Si svegli Della Rocca, sono il Capitano Giorgio Calzone!” L’inganno ebbe l’effetto desiderato: la sola menzione del suo comandante al corso AUC diede a Della Rocca una tale scarica d’adrenalina che la ciucca scomparve come d’incanto.
“COMANDI!!! Allievo Ufficiale Della Rocca, Seconda Compagnia...” cominciò a sbraitare sull’attenti in una reazione automatica dovuta alla sindrome da stress che, tanti anni dopo la conclusione del corso, gli rovinava ancora i sogni. Poi le risate dei colleghi residenti a Baghdad gli svelarono la burla.
“Figli di puttana, cosa vi salta in testa di svegliare gli onesti cittadini nel cuore della notte?”
“Tu non sei un onesto cittadino, Della Rocca: sei un Signor Ufficiale degli Alpini, temporaneamente in congedo per un errore burocratico. Con una telefonatina sistemo l’inghippo e ti mando a fare la guardia a Lampedusa...” lo minacciò ridendo Enrico Mandolòn, mentre gli altri due si scompisciavano dalle risate.
“Vabbè, oramai mi avete svegliato. Che cazzo volete?”
In poche parole Mandolòn spiegò la situazione al più che paffuto Della Rocca, intellettualoide da strapazzo, inventore-scrittore-pittore dilettante, genio del computer e bevitore inveterato.
“Ci devi aiutare, ma in fretta. Sono preoccupato per la sorte di quei due idioti, e Maninalto non riesce più a tenere a bada quelli di Roma.”
“Vabbe’, vabbe’, vedo cosa posso fare. Ma il mio aiuto ti costerà, caro Enrico, oh se ti costerà! Un cartone di Dom Perignom a testa, tanto per cominciare... e poi magari se mi salta vi faccio pinciare tutti e tre sull’Altare della Patria il due di giugno...”
Della Rocca, il banfone, aveva già acceso il fido computer, che sapeva manipolare con una maestria senza uguali.
“Vediamo vediamo, messaggi internet provenienti dalla zona dei monti Zagros, hai detto... Fammi dare un’occhiata, ti richiamo.” E riattaccò.
***
Occorsero molte ore, prima che Della Rocca mantenesse la parola data. Capitan Galimba ne approfittò per limare ulteriormente le sbavature dell’addestramento dei suoi uomini, discutendo tattiche, verificando il funzionamento delle armi, revisionando materiali... e trovando lungo a tener a bada Girurto e Del Cardi, che si ostinavano a voler sottoporre la truppa ad un po’ di addestramento formale...
Della Rocca intanto si dedicava anima e corpo alla missione specialissima che gli era stata affidata. Trovò abbastanza facilmente i messaggi di cui gli aveva parlato Mandolòn (il sito del SisMax era un colabrodo), ma poi dovette intrufolarsi nei server di mezzo mondo per cercare – inutilmente – di stabilirne la provenienza: il complicato sistema di triangolazioni adottato dagli autori era veramente a prova d’indagine. Il corpulento Ufficiale Alpino mago dell’informatica provò poi a penetrare, avendo cura di non lasciare tracce, i siti super-protetti dei servizi segreti dei maggiori paesi: la CIA, lo Sdece, l’MI-6, il Mossad: neppure qui c’era la minima menzione del sequestro di Hasta-Luego e Figon, né del fantomatico centro Internet nascosto nel cuore dei Monti Zagros.
Fu una soffiata dei suoi amici russi residenti nella zona di Ekatarineburg – anche Della Rocca aveva i propri intrallazzi – che gli permise di sgrovigliare la matassa. Un guerrigliero Ceceno catturato pochi giorni prima dai servizi segreti di Mosca aveva mormorato qualcosa riguardo a due ostaggi occidentali tenuti prigionieri nei pressi del monte Kazzar-al-Salaam. Poi il terrorista aveva tirato le cuoia, grazie alle amorevoli cure degli sgherri che lo interrogavano, impedendo così la collezione di ulteriori informazioni. Ma a Della Rocca quel brandello di conoscenza fu sufficiente.
Le dita cicciotte, che ricordavano le luganeghe servite in mensa truppa ai tempi della naja, correvano veloci sulla tastiera. Della Rocca penetrò furtivo nel sito web dei servizi segreti di Washington, sezione rilevamenti via satellite. Grazie ad un meticoloso lavoro di ricerca facilitato da un programmino scritto ad-hoc, il genio dell’informatica riconobbe infine un cambiamento nel paesaggio desolato circondante il monte Kazzar-al-Salaam –un cambiamento appariscente, in quanto in quelle zone non cambia mai nulla. Si trattava di una riparo di pastori, rimasto immutato nel corso dei secoli visto che anche Marco Polo lo nominava nel suo “Il Milione” (Della Rocca era anche un fine storico). Pochi giorni dopo il rapimento degli Ufficiali Italiani, un camioncino si era aggiunto al paesaggio. Confortato dai risultati della ricerca, Della Rocca esaminò altri rilevamenti a scala maggiore, fino ad individuare una traccia di sentiero che partiva dalla casupola e si divincolava lungamnete tra i picchi scoscesi dei monti Zagros, fino a fermarsi... in mezzo a un bel niente! Incuriosito, Della Rocca si procurò gli ingrandimenti della zona, e li studiò con grande attenzione. Alla fine la lunga esperienza gli fece notare il dettaglio che cercava, e non ebbe più dubbi.
“Ti ho trovato, infine! A me tu non la puoi fare, vecchio mio!!!”
Balzò eccitato sul telefono e compose di getto il numero dell’ambasciata Italiana di Baghdad che gli aveva lasciato Maninalto
***
“Li ho trovati! Hasta-Luego e la Figòn sono tenuti prigionieri in un campo terrorista situato in una zona inaccessibile nei pressi del ghiacciaio del monte Kazzar-al-Salaam!”
“Sei sicuro?” risposero dubbiosi gli interlocutori a Baghdad. “ ’Sto accampamento di cui ci parli sarà ben mimetizzato no? Come fai ad essere certo che esite?”
“In effetti non si tratta di un accampamento, ma di una serie di grotte sotterranee, il cui ingresso è nascosto in modo pressocché perfetto. Ma io ho la prova introcontrovertibile della sua esistenza: ho visto la latrina...”
Della Rocca aveva guadagnato la fama di esperto scatologico dopo aver sbalzato nel centro di un letamaio, e sull’argomento la sapeva lunga. Davanti alla forza dell’argomento, il trio di ufficiali fu d’accordo che in effetti non c’erano dubbi, e chiese le coordinate GMT della località segreta. Al resto avrebbero pensato loro...
CAP. 8 – ALL’ASSALTO!
I tre elicotteri da trasporto dell’esercito alleato si levarono dalla zona verde nel cuore della notte, rispettivamente al comando del Maggiore Mandolòn, del Capitano Galimba, e dei Tenenti Girurto e Del Cardi. L’atmosfera all’interno dei capaci velivoli era tesa; i militari della 145a Compagnia di Fanteria Alpina, la “Terribile”, in pieno assetto da guerra, tacevano pensando ognuno alla propria casa, alla famiglia, ed ai pericoli imminenti. I berretti verdi Americani avevano declinato l’invito a fare da supporto alla missione, consci dei rischi che comportava e delle difficoltà legate al territorio. Maninalto Biscarelli, al contrario, avrebbe fatto carte false per partecipare all’azione, ma Enrico Mandolòn gli ordinò di coordinare l’assalto da Baghdad. (Questi civili fuori forma, si credono sempre dei ventenni...)
Atterrarono che albeggiava appena, a parecchi chilometri dall’obiettivo per non dare l’allarme, e cominciarono immediatamente la marcia verso il nascondiglio segreto della guerriglia Islamica. Avevano deciso di attaccare dalla direzione più improbabile: la vetta del monte Kazzar-al-Salaam. Con una determinazione che avrebbe reso fieri gli antenati, che nel corso della prima guerra mondiale avevano sorpreso i KaiserJagers attaccando da posizioni ritenute impossibili, si avvicinarono nel più assoluto silenzio al retro della montagna, che si stagliava inacessibile e minacciosa. Nevicava, ed il paesaggio fiabesco sembrava il meno adatto ad ospitare un’azione di guerra, quando gli alpini del Battaglione Trento cominciarono l’ascesa. Prima di mezzodì erano in vetta, ad assaporare la vista meravigliosa della catena dei monti Zagros e a prepararsi per la discesa nel versante dove il nemico, ignaro del pericolo, dormicchiava controllando svogliatamente la vallata che gli si parava davanti.
Al calar delle tenebre, dopo molte corde doppie eseguite nell’assoluto silenzio che solo i combattenti addestrati sanno mantenere, arrivarono infine in vita del presidio nemico. Mandolòn e Galimba, dopo aver comandato agli uomini di riposare (no, Girurto e Del Cardi non potevano organizzare una piccola sessione di addestramento formale!), si sistemarono in posizione riparata ad osservare le attività dei ribelli Islamici, con l’aiuto di potenti binocoli notturni. Di immediatamente visibile c’era poco, solo la latrina già notata da Della Rocca ed un’antenna che evidentemente serviva per il collegamento ad internet. Solo dopo molte ore di osservazione, intirizziti e stanchi, i due Ufficiali poterono finalmente individuare gl’ingressi alle gallerie che costituivano il buker sotterraneo in cui si nascondevano i ribelli. Un paio di combattenti erano usciti per portare il rancio alle guardie che stazionavano ai nidi di mitragliatrici pesanti, a valle dell’imboccatura del tunnel.
Soddisfatti di aver reperito tutte le informazioni necessarie, Mandolòn e Galimba tornarono al riparo della roccia dove gli uomini stavano tentando di catturare qualche attimo di riposo prima dell’azione, e cominciarono ad emanare gli ordini per l’attacco che sarebbe cominciato di lì a poche ore, molto prima dell’alba. Il plotone di Girurto e Del Cardi avrebbe dovuto eliminare le postazioni difensive e distruggere l’antenna radio, mentre quelli di Mandolòn e Galimba sarebbero entrati nelle gallerie per liberare gli ostaggi.
***
“Parla, bastardo!”
Il Capitano Hasta-Luego, il viso ridotto ad una maschera di sangue per le percosse ricevute nei giorni precedenti, non poté fare a meno di chiedersi come facesse questo terrorista Islamico a padroneggiare la lingua di Dante con tale perfezione. Anna Maria Figòn, incatenata in un angolo della stanza, assisteva pallidissima alle sevizie cui era sottoposto Simbad. A lei non era stato ancora torto un capello, forse in segno di rispetto o forse per disprezzo delle capacità di una donna. Hasta-Luego, invece, aveva subito le sevizie più degradanti senza emettere un gemito e senza rivelare nulla. Di tutti i loro aguzzini, quello che parlava Italiano era il più feroce. Voleva sapere la password per entrare nel sito del SisMax: sarebbe stato così facile fare smettere quella tortura... ma i terribili calci sui marroni cui fu sottoposto il capitano del “Tuscania” ebbero il solo effetto di fargli emettere gli alti lamenti tipici di chi soffre di atroci dolori testicolari. Tali lamenti furono confusi dagli islamici presenti con la periodica chiamata a preghiera dei muezzin, facendoli prontamente prostrare in direzione della Mecca.
***
I colpi di mortaio da 81mm, lanciati con precisione infernale dal lato che ritenevano più sicuro, svegliarono le guardie. Prima che si rendessero conto di quello che stava succedendo, furoo ingaggiati in un furioso corpo a corpo da un manipolo di diavoli bianchi, Alpini mimetizzati nella tuta candida che li aveva resi famosi.
Girurto e Del Cardi, terrorizzati dagli scoppi delle granate che le guardie lanciavano all’impazzata per difendersi dall’attacco inaspettato, si erano lanciati all’unisono nell’unico appiglio tattico che il brullo terreno offrisse: quella fossa che aveva consentito a Della Rocca d’individuare il campo. E, con la faccia schiacciata nel terriccio fetente, incapaci di muovere muscolo mentre i traccianti di attaccanti e difensori gli passavano sopra la testa, si guardarono finalmente l’un l’altro gli occhi pieni di terrore:
“T’ho sempre amato!” esclamarono all’unisono, e si congiunsero in un abbraccio incosulto per il resto dell’azione, mentre i loro uomini annullavano la resistenza nemica e distruggevano la torre radio come da ordini.
***
Mandolòn e Galimba, dopo aver fatto saltare col plastico due separati ingressi del bunker, seminavano morte e distruzione, alla testa dei rispettivi plotoni. Sparavano una letale raffica di 7,62 NATO ad ogni curva della galleria per aprirsi la strada e lanciavano una granata in ogni antro che trovavano, lasciando poi un uomo a guardar loro le spalle mentre continuavano l’avanzata nel budello sotterraneo. Si ricongiunsero così davanti alla porta che dava nella stanza principale, avendo disseminato tutti gli uomini lungo i tunnel che portavano alle uscite. Da dietro quell’uscio, provenivano urla disumane.
***
“Questo ti aiuterà a decidere che non vale la pena fare l’eroe” ghignò diabolico il terrorista che parlava Italiano verso il bel volto incrostato di sangue di Hasta-Luego. Un suo sgherro aveva afferrato i capelli biondi della Figòn rovesciandole il capo all’indietro, e le stava avvicinando un coltellaccio alla gola bianchissima. Anna Maria, gli occhi dilatati dal terrore, non emetteva alcun suono, mentre Simbad osservava con orrore la scena da dietro le palpebre tumefatte.
“Ferma il tuo uomo, ti dirò quello che vuoi sapere...” mormorò infine l’Ufficiale veneziano, mentre il viso del suo aguzzino si allargava in una smorfia di piacere. “La password per entrare nel sito del SisMax è ...”
In quel preciso istante la porta della sala di tortura si aprì di schianto, sopraffatta dal calcio possente vibrato all’unisono da Mandolòn e Galimba. Alla vista della minaccia capitale cui era sottoposta Anna Maria Figòn, spararono contemporaneamente, colpendo il bandito con una precisione tale che più tardi il medico legale ebbe difficoltà a distinguere le due ferite separate, nel foro d’ingresso che gli spaccava a metà il cranio (proprio in mezzo agli occhi). Mandolòn si girò quindi a fronteggiare la minaccia rappresentata dal bandito che parlava Italiano, mentre Galimba prestava i primi soccorsi a Figòn.
“Ci si rivede, Enrico...”
“X! Avrei dovuto aspettarmelo!” rispose l’Ufficiale del SisMax, in evidente stato di shock.
“Fermi tutti, fermi tutti!” Le urla sconclusionate provenivano dal corridoio. Girurto e Del Cardi, ripresisi dall’attacco di codardia e sollevati dalla confessione che avrebbe cambiato le loro vite, avevano deciso di cercare la loro parte di gloria e si aggiravano sbraitando per i locali sotterranei.
“Altolàchivalà!”
“Mani in alto!” intimò loro Capitan Galimba, al loro ingresso nella camera di tortura.
“Ma non era rimasto a Baghdad?” rispose inebetito Del Cardi.
X profittò della confusione che seguì l’insulso commento, per dare un calcio alla lanterna a petrolio che illuminava l’ambiente, appiccando il fuoco al povero giaciglio su cui erano stati alloggiati i prigionieri.
E, nella confusione che seguì, si dileguò.
CAP. 9 – EPILOGO
Non appena riavutisi dalle sevizie subìte, Hasta-Luego e Figòn si dovettero ciucciare un cazziatone coi controfiocchi per l’imprudenza di cui si erano resi colpevoli. Le loro carriere subiranno un decisivo rallentamento, ma si sa: tira più un pel di fica...
Il Capitano Luca Galimba completò il richiamo senza ulteriori peripezie, e fu proposto per l’avanzamento di grado.
Adalgiso Girurto e Rosolino Del Cardi furono depennati dalla lista di Ufficiali della Riserva.
Se ne fregano: hanno deciso di vivere assieme e sono molto felici.
Il Maggiore Mandolòn fu insignito della medaglia d’argento al valor militare, ed è in attesa della promozione a Tenente Colonnello, per l’ira di Lostrunzo che non perdona a Cacace la sua defaillance.
Quanto a Della Rocca... l’ho lasciato pieno come un otre che giocava in un sito di realtà virtuale...
Massimiliano della Roccia , 120° AUC - Nato a Vicenza nel 1960; ingegnere, sposato con due
figli, vive dal '92 negli Stati Uniti, dove lavora nel settore automobilistico;
è volontario presso i vigili del fuoco della sua città (Orion Township
Fire Department). Il servizio di prima nomina è stato assolto presso la
Centoquarantacinquesima compagnia del battaglione Trento.
Seconda Parte
Quarta Parte
Torna alla pagina iniziale
|
|