1. Una Spia alla SMAlp
di Massimiliano della Rocca

 

NOTA: Questo racconto è frutto esclusivo della mia fantasia (fantasia malata, dirà qualcuno). Fatti e persone sono quasi immaginari, ed ogni somiglianza alla realtà è più o meno puramente casuale.

 

Personaggi:

M.llo Francesco “Ciccillo” Cacace - Sottuff.  sez. Attività Eversive
T.C. Lostrunzo  - Capo sezione Controllo Attività Eversive del SISMI
Magg. Enrico Mandolòn - Capo sezione Controllo Attività Informatiche Illegali del SISMI
M.llo Ridacchia  - Sottuff. sez. Attività informatiche, cognato di Cacace
Gen. Ciabatta   - Capo Ufficio Controllo Cittadini, Superiore di Lostrunzo e Mandolon
App. Totunno  - Assistente di Cacace

                              

CAP. 1 – L’UFFICIO PER IL CONTROLLO DEI CITTADINI

“Minchia!” Il maresciallo Francesco – per gli amici “Ciccillo” - Cacace sudava copiosamente. In quel piccolo ufficio senza finestre (“Ma che ufficio! Un ripostiglio per le scope!” si lamentava il tozzo occupante) al quarto piano del palazzo del SisMax, il caldo dell’estate romana era una tortura. Per una volta, l’abbondante traspirazione del sottufficiale non era provocata né dalla temperatura elevata né dalla mancanza d’aria, ancorchè esasperate dalla ventola dell’antiquato computer che ronzava sulla scrivania. E non si trattava neppure delle conturbanti bellezze cibernetiche, che Cacace scaricava con esasperante lentezza ma con assoluta regolarità da internet (“Minchia, mi sembra uno strippetìse!” pensava Cacace, mentre  si godeva le pinup dell’internet e fremeva con ribrezzo al pensiero delle forme – ahimè, quanto differenti! - della giunonica e tutt’altro che glabra consorte). No: quella volta si trattava delle scoperte che Cacace andava facendo, belle spiattellate sulla “rete”, e che l’eccitavano assai.

***

Quel mattino Cacace era stato convocato con urgenza dal suo superiore Tenente Colonnello Lostrunzo, capo della Sezione per il Controllo delle Attività Eversive. Agitato era, il Signor Colonnello: a-gi-ta-tis-si-mo. Durante la riunione settimanale del Venerdì, il suo odiatissimo collega Maggiore Mandolòn (un polentone, figuriamoci), della parallela sezione per il Controllo delle Attività Informatiche Illegali aveva informato il loro comune superiore, Generale Ciabatta, di aver scoperto le attività sospette di un gruppo eversivo di cui nessuno aveva sentito parlare mai. Alpini, erano, una scheggia impazzita dell’ormai defunto IV Corpo d’Armata. E tramavano, loscheggiavano, progettavano Dio sa cosa.
“ALLA LUCE DEL SOLE, E SONO ANNI! SOTTO AI SUOI OCCHI, LOSTRUNZO!” aveva tuonato il Generale Ciabatta, capo dell’Ufficio per il Controllo dei Cittadini. “VOGLIO UN RAPPORTO COMPLETO PER LA FINE DELLA SETTIMANA PROSSIMA, O LA SBATTO A CONTROLLARE I TIR AL BRENNERO!!!”
“Mi avesse minacciato di mandarmi a Gaeta, almeno sarei vicino a mammà” aveva pensato furioso Lostrunzo, mentre rivangava nella sua testa pelata la figuraccia che ancora una volta gli aveva fatto fare quel fetentissimo Maggiore Mandolòn. E aveva giurato vendetta.

***

“CACACE!”  tuonò Lostrunzo al suo ritorno in ufficio. 
“Comandi, eccellenza”  rispose prontissimo il bravo funzonario.
“Cacace, da quanti anni lavoriamo insieme?”
“Dodici, signor Colonnello”.
“Dodici, minchia. Un’eternità. Cacace, le ho mai detto che in questi dodici anni lei è diventato il mio braccio destro? Oggi la voglio ricompensare per la sua fedeltà e l’onorato servizio: voglio affidarle un incarico importantissimo, segretissimo e pericolosissimo… Se la sente?”
“Signorsì, signor Colonnello” rispose Cacace gonfiando il petto per l’orgoglio e cominciando già a sudare.
“Meno male, gli altri sono tutti in ferie” pensò Lostrunzo.
“Si accomodi”, disse, e cominciò a parlare.

***

Il briefing durò solo pochi minuti: a parte la figura di merda che gli aveva fatto fare davanti a Ciabatta, Mandolòn non aveva comunicato molto... C’era ’sto gruppo sospetto, “scuolalpina” si chiamava. Era formato da componenti dell’oramai disciolto (e non rimpianto, per quanto riguardava Lostrunzo) corpo degli Alpini, ed erano quasi tutti ex-Ufficiali di Complemento, ora in congedo e molti avanti con gli anni. Subdoli erano: subdolissimi. Tramavano e intrallazzavano ma non s’incontravano quasi mai faccia a faccia, sicuramente per non destare sospetti. Comunicavano attraverso questo strumento strano, Inter-net lo aveva chiamato Mandolòn (“Minchia, e pensare  che io tifo per il Napoli” aveva pensato Lostrunzo). Stavano preparando qualche azione eversiva, spettacolare: Ciabatta ne era sicuro.
“A lei, Cacace: indaghi, indaghi e riferisca per la fine della settimana prossima. Mi fido di lei.”
“Signorsì, eccellenza” aveva risposto il commissario, ed era tornato nel suo ufficio (pardon, ripostiglio).

***

“Scuolalpina” bofinchiò Cacace, “scuolalpinapuntoit… boh, io ci provo”. E digitò sul computer: www.scuolalpina.it Con una lentezza esasperante, lo schermo si riempì di parole fiere e di simboli strani: penne d’aquila, picozze, montagne stilizzate. Il Papa, perfino… scuolalpina stava per Scuola Militare Alpina, apprese Cacace: un’unità di formazione per Ufficiali di Complemento, oramai disciolta, con sede ad Aosta. Migliaia e migliaia di giovani l’avevano frequentata, e di questi una manciata di facinorosi (la maggioranza se ne strafotteva) adesso faceva casino per il discioglimento delle truppe Alpine e della scuola stessa.
“Le truppe Alpine erano diventate un pericolo per l’unità della Patria, troppo amate dalla popolazione del Nord e troppo potenti. Bisognava scioglierle” pensò il Maresciallo, citando la tiritera che gli propinava regolarmente il suo superiore, e continuò a leggere.
“Ma guarda un pò, ’sti fetenti, hanno persino scritto dei libri”. Cacace prese nota dei titoli (robaccia tipo “Adunata puniti”, “Sveglia seconda compagnia”, “Eterno”) e chiamò il suo assistente Appuntato Totunno.
“A Totù, ti affido un’operazione segretissima. Vammi a cercà ’sti libri e tieni ’a bocca chiusa”.

***

Totunno partì alla volta della biblioteca del SisMax ma, avendola trovata chiusa per ferie e siccome faceva caldo, ne approfittò per prendere una boccata d’aria e si diresse verso una vicina libreria. Al ritorno, già che c’era, si fermò al bar per un caffè, dove trascorse il resto del pomeriggio, cercando di decifrare l’enorme scritta in caratteri Braille che troneggiava sulla maglietta della cameriera…

***

“Ma guarda ’sti fetentoni, hanno proprio tempo da buttar via” pensava Cacace, gironzolando per il sito in cerca di attività sospette. “E poi parlano in modo strano. Cosa vorrà mai dire ‘Andati avanti’? Vediamo qui: ‘Ricordi in libertà’ dice, che sarà mai? Miiinchia, quante foto! Guarda qua: fucili, cannoni, bombe a mano! Aveva ragione sua eccellenza: pericolosissimi sono!”
 Telefonò al suo collega del Controllo delle Attività Informatiche Illegali, Maresciallo Ridacchia (che poi era anche suo cognato), e gli chiese di preparare una stampa di tutte le foto.

***

“A Marescià, tutto ho trovato, tranne ‘In Punta di Vibram’: mi dicono che quello non è ancora uscito” disse Totunno di ritorno dalla biblioteca (dalla libreria) (dal bar), proprio alla fine dell’orario di ufficio.
“Vabbè, posa lì” rispose Cacace soprappensiero, “ ’Sto fine settimana c’ho da leggere ’sto monte di stronzate”. Spense il computer, recuperò la vecchia Fiat Uno nel posteggio sotterraneo del SisMax e si diresse verso casa, dove effettivamente passò il Sabato e la Domenica a leggere di vita Alpina – senza capirci molto.

***

Il Lunedì mattina Cacace ritornò in ufficio (ripostiglio) più preoccupato di quando l’aveva lasciato. I libri che aveva letto trasudavano fierezza e nobiltà, e parlavano anche di armi ed esplosivi. Però, d’intenzioni eversive neppure l’ombra: che il Colonnello Lostrunzo si fosse sbagliato? Cacace riaccese il vecchio computer, e riprese ad esplorare il sito della scuolalpina. “Lista di posta: che sarà mai?” si chiese Cacace. E lesse le istruzioni per accedervi.
“Anvedi un pò ‘sti cornutoni, cosa ti vanno a combinare”, pensava Cacace mentre digitava seguiva la procedura per accedere alla lista. Alla fine, gli prese un coccolone: più di dodicimila messaggi, quasi tutti scritti in codice segreto, originati da individui che nascondevano la propria identità dietro a nomi di battaglia incomprensibili (‘Wpopper’, ‘Civràn’, ‘La Max delle Rockies’), farciti di parole sconosciute come ‘trovare lungo’ e ‘banfare’. Comunque qualcosa Cacace ci capiva, mica per niente era il braccio destro del Signor Colonnello! Cominciò con diligenza dal messaggio numero uno, annotandosi nomi, codici e termini sconosciuti.
Qualche ora e parecchie centinaia di messaggi dopo, con la testa che scoppiava, richiamò Totonno.
“A Totò, vai a farmi le analisi di circostanza su ’sti pendagli da forca, che io continuo a leggere”.
Di progetti eversivi ce n’erano un fottìo, quasi tutti discussi in linguaggio segreto. Questa ascensione del Monte Emilius, ad esempio: era certamente una copertura per qualcosa di illegale. Emilius, Emilius… sicuramente  si trattava dell’onorevole Emilio X, eminente membro del passato Governo e primo segnatario della legge sull’abolizione delle truppe Alpine (ed attualmente indagato per corruzione)… che volessero vendicarsi? Cacace annotò.

***

Un paio di giorni (e parecchie visite al bar) dopo, Totonno tornò a riferire l’esito delle sue ricerche. I nomi di battaglia che gli aveva passato il Maresciallo non avevano rivelato un granchè. Trattavasi perlopiù di insospettabili professionisti: un architetto, qualche giornalista, imprenditori, medici, perfino un funzionario del Ministero degli Esteri (un infiltrato, sicuramente). Tutti incensurati, a parte la macchia indelebile del servizio negli Alpini - quindi tutti farabutti. L’unico ad avere la fedina penale sporca era tal MdR, che era risultato essere un certo signor Massimiliano Della Rocca: intellettualoide da strapazzo, inventore-scrittore-pittore dilettante - sicuramente attività di copertura - genio del computer e bevitore inveterato. Negli anni passati costui aveva osato sfidare l’autorità dello Stato ed aveva dedicato una strada a… la Scuola Militare Alpina! (e chi altro?). Un’accusa gravissima, infamante, nefanda. Doveva essere il capobanda, ’sto Della Rocca: nei suoi messaggi agli altri componenti della banda intimava, minacciava, ordinava. Sicuro di se, ad un certo punto aveva abbandonato ogni precauzione e si era messo a parlare apertamente di partiti politici da fondare, attività eversive da programmare, e così via.
“Questo Della Rocca appartiene alle patrie galere” pensò Cacace, “se solo potessi metterci su le mani…”
Cercando e scartabellando, Cacace aveva anche trovato una foto di Della Rocca. Un pò sfocata (sicuramente scattata ad una riunione illegale del gruppo), mostrava un individuo di mezza età (anzi, tre-quarti d’età) col cranio pelato, la panza sporegnte, il baffo spettinato, lo sguardo birbone e, ben calcato sulla cocuzza, il detestato simbolo dell’eversione Alpina: il famigerato cappello con la penna.

 

***

Il giovedì seguente il Maresciallo Cacace, stravolto dalla fatica di leggere dodicimila e passa messaggi, presentò il suo rapporto al Tenente Colonnello Lostrunzo. Scritta su una vecchia macchina da scrivere meccanica e colma di strafalcioni, l’opera omnia di Cacace era completa assai, ma quasi illeggibile. L’alto Ufficiale non se ne accorse, e divorò lo scritto.
“Lo sapevo, che questi figli di mignotta ci avrebbero dato dei guai” imprecò.

***

Anni prima il potere politico, conscio della crescente pericolosità delle truppe Alpine, aveva deciso di smantellarle. Di soppiatto però, perchè la popolazione del Nord amava i suoi Alpini e si sarebbe ribellata ad un aperto tentativo di dissoluzione. Era stato l’allora Capitano Lostrunzo ad ideare e condurre l’operazione Destabilizzazione Truppe Alpine (DES.T.A). Dopo aver infiltrato qualche bravo picciotto, i reparti cominciarono presto a intonare “Funicolì Funicolà” e a dimenticare “Quel mazzolin di fiori”. Dietro preciso ordine di Lostrunzo, un “alpino” suo conterraneo scambiò perfino la bandiera della Repubblica con il vessillo del Napoli, in occasione della vittoria dello scudetto da parte della squadra Partenopea. Poi erano venuti segnali più sottili – subliminali, li aveva chiamati Lostrunzo - fino al colpo magistrale della sfilata del due Giugno, quando i pochi Alpini (se era ancora lecito chiamarli così) erano stati fatti sfilare davanti al Capo dello Stato senza l’adorato cappello con la penna. Credeva di averne spezzato lo spirito, Lostrunzo, ed invece rieccoli qua, più pericolosi che mai. In previsione della riunione settimanale del giorno dopo, l’Ufficiale cancellò dal dossier il nome del Maresciallo Cacace e lo sostituì col proprio.

***

“LOSTRUNZO!” tuonò il Generale Ciabatta, “cos’ha scoperto di questa scuolalpina?”
Il Tenente Colonnello Lostrunzo distribuì le grinzose copie del rapporto Cacace (le foto riprodotte da Ridacchia erano state accuratamente ritagliate ed incollate col vinavil) e descrisse i fatti riguardanti il gruppo eversivo.
“Un cancro al cuore dello Stato…” mormorò Ciabatta “...dobbiamo estirparlo”. 
“Si incontreranno il 20 Novembre prossimo venturo con la scusa della presentazione del loro libro ‘In Punta di Vibram’” suggerì Lostrunzo, rubacchiando ancora un pò il lavoro del suo sottoposto. “Trattasi sicuramente di una copertura, pare preparino un attentato ai danni dell’Onorevole X. Li dobbiamo infiltrare, così li possiamo incastrare in quell’occasione. Facciamo un mega-blitz, eh, eh, facciamo un mega-blitz?”
“Troppo pericoloso” ribattè Ciabatta.
“E poi si conoscono già tutti, come facciamo ad infiltrarli?”
“Mica vero,” ribattè pronto Lostrunzo, “questo tale ‘Max delle Rockies’, per esempio: abita in America, no? Potremmo contattare i nostri colleghi della CIA, farlo arrestare e torturare, sicuramente parlerà. Poi ne assumiamo l’identità e mandiamo uno dei nostri al raduno…”
“Non parlerà” ribattè Mandolòn, che sembrava saperla lunga. “Alla Scuola Militare Alpina gli fanno un culo così e anche le peggiori torture gli fanno il solletico.” 
“E poi gli americani si rifiutano di aver a che fare con gli Alpini” continuò Ciabatta, “da quando hanno subito la peggior disfatta nella storia – che neanche il KGB... - da parte di un Battaglione Alpino che si è immolato per proteggere il Paese ed il pianeta da una fantomatica arma nucleare. Teste di mulo sono, proprio come i loro padri sul Don ed i loro nonni sull’Ortigara. Però l’idea di infiltrarli mi piace…”
“Beh” ripiegò irritato Lostrunzo, “anche se non lo facciamo arrestare, questo sedicente Max-delle-Rockies, gli altri mica lo conoscono di persona, no? Potremmo mandare uno dei nostri e farlo spacciare per l’americano…”

***

Il maresciallo Cacace, col cappello Alpino sulla crapa, ricordava più il Sergente Ingrassia di zorresca memoria che un fiero combattente della montagna.
“Non ci cascheranno mai” pensò sconsolato il Tenente Colonnello Lostrunzo. “Possibile che non ci sia nessun altro?”
Fu così che l’appuntato Totunno, che passava di lì per caso nel suo tragitto multi-quotidiano verso il bar, fu arruolato senza cerimonie per la segretissima operazione “Rockies”. Equipaggiato con una camicia Hawaiana proveniente dal mercatino di Porta Portese, sulla testa un cappello Alpino recuperato a Cinecittà, il prode sottuficiale fu diretto verso la stazione Termini e la riunione segretissima del gruppo eversivo “scuolalpina.it”, con l’incarico esplicito di arrestarne il pericolosissimo capobanda, tal Sig. Massimiliano Della Rocca, alias ‘MdR’…

 

CAP. 2 – IL SEGRETO DEL MAGGIORE MANDOLÒN

 

Di ritorno nel proprio ufficio, il Maggiore Mandolòn congedò i collaboratori (“È venerdì, andate a godervi le vostre famiglie”) ed emise uno sbuffo di sollievo al togliersi il cappello con la fiamma e le lucide scarpe d’ordinanza. I sei piani che lo separavano dalla strada sottostante erano sufficienti ad attenuare il rumore del traffico, ma non avevano alcun effetto sul calore soffocante dell’estate Romana. Mandolòn sospirò nuovamente e si tolse anche la giacca della divisa, dove spiccavano in bella mostra i gradi argentati e la spilla di paracadutista guadagnati sul campo. Proprio mentre stava per riporre la giacca, l’occhio gli cadde sullo stemma della Benemerita: lo prese un soprassalto di rabbia, fece un groviglio della giacca e la gettò sul pavimento. Poi, preso dallo scrupolo e dal rimorso, la raccolse e l’appese col cappello, stropicciata com’era. Il responsabile della sezione per il Controllo delle Attività Informatiche Illegali si lasciò cadere sulla poltroncina e premette il pulsante per accendere il lap-top ultimo modello che aveva dovuto finanziare di tasca propria. Mentre il sistema si inizializzava con prontezza, il Maggiore Mandolòn lasciò il pensiero vagare verso ciò che avrebbe potuto esser stato della sua vita…

***

Enrico Mandolòn era nato in una modesta famiglia nel cuore di quelle prealpi venete, che ne avevano avevano plasmato il carattere ed il futuro. Sapeva appena camminare, che il padre Giuseppe (Bepi), reduce della campagna d’Albania e operaio in una conceria di pelli situata qualche chilometro più a valle, aveva cominciato a portarselo appresso nelle escursioni domenicali, dove l’aria buona della montagna lo aiutava a dimenticare il fetore della conceria. Pra degli Angeli, Vajo dei Colori, Sentiero delle Gallerie: quei luoghi incantati erano ben presto diventati le palestre in cui il giovane Enrico temprava fisico e spirito. Nel corso delle loro escursioni, i due si fermavano spesso a rendere omaggio ai resti del fratello del nonno ed a quelli di migliaia di altri Alpini, immolatisi nello forzo strenuo di difendere la Patria quando, nel 1916, i Kaiserjager di Francesco Giuseppe avevano lanciato la Strafexpedition per tentare di raggiungere la pianura padana. Gli Italiani resistettero con le unghie e con i denti, ma ci mancò veramente un soffio, e oggi l’Ossario del Pasubio raccoglie i poveri resti di tanti valorosi. Fu lì che il giovane Mandolòn decise che anche lui sarebbe diventato un Alpino: non aveva ancora cominciato le elementari.

Mentre completava d’un balzo le scuole dell’obbligo a Valli del Pasubio, il giovane Enrico dimostrò un’intelligenza pronta e vivace. I suoi professori di terza media dovettero penare alquanto per convincere la modesta famiglia Mandolòn che il loro ultimogenito avrebbe dovuto frequentare il Liceo, per prepararsi per l’Università, alla quale era sicuramente destinato. Bepi Mandolòn capiva gli argomenti dei docenti, d’altra parte non v’era dubbio alcuno sulla brillantezza del suo figliolo, ma era riluttante ad imbarcarsi in una strada tanto lunga e costosa. Lo stipendio era scarso, le bocche da sfamare tante, la mamma era morta che Enrico era piccolo ed anche il capofamiglia sembrava invecchiare prima del tempo. Niente però può minare la pacata risoluzione di una famiglia di montanari e, a prezzo di notevoli sacrifici da parte di tutti, Enrico potè frequentare il liceo di Valdagno, dove ancora una volta brillò sia sul piano accademico che su quello sportivo. Fu durante l’estate della maturità, però, che il destino vibrò un primo colpo crudele ai sogni del giovane Mandolòn. Proprio il giorno in cui si sarebbe dovuto recarsi a Padova per iscriversi alla facoltà di Ingegneria (l’informatica era diventata il secondo grande amore di Enrico, subito dopo l’Alpe), Bepi ebbe un tracollo e fu trasportato d’urgenza all’ospedale di Arzignano. L’effetto combinato della prigionia seguente l’avventura Albanese e dei veleni respirati in conceria avevano avuto la meglio sul suo spirito indomabile. La diagnosi era terribile: cancro allo stadio ultimale, con tumori già metastatizzati in vari organi. Fu rimandato a casa con una manciata di anestetici per attenuare il dolore, perchè nessuna cura era possibile e gli restavano solo poche settimane da vivere. Bepi morì in macchina, mentre Enrico lo stava portando a vedere il Pasubio per l’ultima volta.

***

Sfumati i sogni di frequentare l’Università, ad Enrico restava ancora da compiere il servizio militare. Com’era nel suo carattere, il giovane scelse la strada più ardua: fece domanda di essere ammesso al corso per Allievi Ufficiali di Complemento e, alla visita di idoneità, chiese esplicitamente di realizzare il suo sogno: diventare Ufficiale degli Alpini. La splendida forma fisica ed i brillanti risultati scolastici fecero il resto, e Mandolòn fu accettato senza incertezze al Cento-trent’x-esimo (con x dispari) corso AUC, scavalcando così le raccomandazioni di altri candidati meno meritevoli.
Giunto alla Scuola Militare Alpina di Aosta una sera d’Ottobre, Enrico Mandolòn  attaccò i soggetti di studio con la sua abituale determinazione. I compagni di corso e gli istruttori lo aprezzarono subito per la sua pacatezza e disponibilità. Quanto al comandante della seconda Compagnia AUC, il gelido Capitano Giorgio Calzone… beh, quello non ha mai voluto bene a nessuno, ma anche lui col tempo prese a stimare il giovane montanaro. Ci vollero in ogni caso parecchie settimane perchè la riservatezza di Mandolòn lasciasse venire alla luce le sue doti naturali, e fu solo grazie alla prima ondata di compitoni seguita da marce massacranti sulle montagne della Val d’Aosta intervallate da guardie 24, che risultò chiaro a tutti che con Mandolòn avevano a che fare con un talento naturale. Senz’ombra di dubbio, Enrico Mandolòn sarebbe diventato capocorso.

Purtroppo nell’Italia di oggi talento e abnegazione hanno la meglio sugli intrallazzi solo fino ad un certo punto e anche la Smalp, nonostante le dichiarazioni roboanti dei suoi comandanti, non fa eccezione. Aggiungiamoci un pizzico (un vagone) d’invidia, ed ecco combinato l’intrigo. Ne fu autore un AUC di Trento, di cui si tace il nome per pudore: lo sichiamerà “X”, visto che ‘per coincidenza’ il cognome è lo stesso di quell’esponente del governo che pochi anni più tardi fu determinante per la dissoluzione del IV Corpo d’Armata... Costui, scarso in capacità ma fortissimo in appoggi, aveva deciso fin dal primo giorno di accappararsi i tre baffi di capocorso a cui Mandolòn, nella sua modestia, non pensava nemmeno. Resosi conto però che nessuna raccomandazione sarebbe mai riuscita ad aver ragione dell’evidente superiorità di Mandolòn, X decise di giocare sporco. Bastò una telefonata…

***

Faceva freddo in quella mattina di Gennaio nella Cesare Battisti di Aosta, sede della Scuola Militare Alpina e del battaglione AUC, un freddo cane. Il cielo era ancora scuro e la neve sul Monte Emilius brillava bianchissima alla luce della luna. La seconda Compagnia si preparava a partire per La Thuile, a pochi chilometri dal passo del Piccolo San Bernardo, dove avrebbe perfezionato le tecniche d’attacco in ambiente montano. Schierati per plotoni, col fucile auomatico a tracolla, lo zaino sulle spalle e la borsa valigia (semi-floscia perchè gran parte del vestiario era stato indossato in vista del tragitto sul cassone aperto degli ACL) al piede, gli AUC del cento-trent’x-esimo corso attendevano con pazienza l’arrivo dei mezzi di trasporto. Improvvisamente uscì sul piazzale il Capitano Calzone, livido da far paura.
“COMPAGNIA AT-TENTI!”
I Vibram degli allievi tuonarono sull’asfalto gelato, ed il Sottotenente vice-comandante di Compagnia si apprestò a presentare la forza al suo superiore. Giorgio Calzone non lo degnò di uno sguardo e cominciò a parlare senza neppure aspettare che il sottoposto finisse la sua tiritera.
“Mi sono appena stati comunicati dal Ministero i nomi di quei figli di puttana che abbandoneranno questa Scuola per aggregarsi al Corpo dei Carabinieri” cominciò Calzone, con un sibilo che trasudava disprezzo. “Quelli che chiamo vengano a schierarsi di fronte alla compagnia, affinchè i vostri camerati” Giorgio Calzone aborriva l’uso della parola ‘compagni’, “possano vedere per l’ultima volta la vostra brutta faccia di raccomandati”.
Mandolòn, relegato dalla statura imponente in fondo allo schieramento, attendeva con pazienza la fine del sermone. A lui l’idea di far domanda per entrare nei Carabinieri non era mai passata per il cervello, e stava sfruttando l’opportunità per godersi lo spettacolo maestoso dei primi raggi di sole che incendiavano la cima dell’Emilius. Quando il suo nome fu chiamato, primo di tutti, pensò di aver capito male: in fondo non stava neppure ascoltando…
“Venga fuori, Mandolòn, venga qui se ne ha il coraggio” ripeté Calzone. Incredulo, Mandolòn uscì dai ranghi e si avviò incerto verso il Capitano. Non appena gli fu a tiro, Calzone vibrò a Mandolòn una sberla che lo fece barcollare.
“Figlio di troja, e pensare che volevo farti capocorso…” sibilò Calzone, e gli sputò in faccia con disprezzo. Nascosto tra i ranghi, l’allievo X rischiava una ramanzina per il ghigno feroce che gli si era stampato sul muso nonostante gli attenti.
Due giorni dopo fu nominato tri-baffo del cento-trent-x-esimo corso AUC e ancora oggi, a distanza di anni, non ha smesso di banfare. Che brutto corso, ’sto cento-trent’x-esimo…

***

Nonostante la cocente delusione per aver dovuto abbandonare i suoi amati Alpini, Mandolòn fece bella figura anche nei ranghi della Benemerita. Fu promosso Sottotenente, e si distinse nel servizio di prima nomina. Poi, con niente a cui ritornare, si raffermò e cominciò una brillante carriera dove l’intelligenza, la prestanza fisica, e la passione per l’informatica lo portarono rapidamente al grado di Maggiore ed al comando della Sezione per il Controllo delle Attività Informatiche Illegali. Dell’intrallazzo che gli aveva cambiato la vita seppe solo molti anni dopo, grazie ad un collega che prestava servizio con lui in Bosnia-Herzegovina. Una sera, all’arrivo della notizia dell’elezione dell’Onorevole X alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Mandolòn ascoltò per la prima volta la leggenda che circolava da tempo tra i ranghi delle truppe da montagna come esempio di nefandezza. Pareva che X, allora solo sotto-segretario alla difesa, avesse fatto trasferire il più brillante allievo mai capitato alla Scuola Militare Alpina per assicurare l’elezione a capocorso del proprio sfigatissimo nipote… Nel corso degli anni i nomi si erano cancellati e i dettagli erano stati modificati, ma Mandolòn capì lo stesso, ghignò amaro e giurò vendetta.

***

Nel suo ufficio del SisMax il Maggiore Enrico Mandolòn si riscosse dalla valanga di ricordi, e digitò www.scuolalpina.it 
“Cazzo, è mai possibile che quel cretino di Lostrunzo si sia sbagliato ancora? Gli avevo messo davanti un bersaglio immobile, bastava allungare la mano… ed invece adesso si è incaponito con ’sto poro cane di Della Rocca, che in vita sua non aveva fatto niente di male. Era così evidente che quello da arrestare era proprio X…”

Nel suo cinismo concimato dall’amarezza, Mandolòn credeva di aver inventato l’arma perfetta per vendicarsi sul suo antico rivale. Lo zio onorevole stava per essere condannato per corruzione, quindi svaniva per X la protezione dall’alto. Un piano perfetto, se quell’idiota di Lostrunzo non avesse capito fischi per fiaschi ancora una volta. Che fare ora? Prima di tutto si doveva fermare Totunno, che tanto non avrebbe ingannato mai nessuno – tantomeno quei volponi di scuolalpina.it.
Sospirò e andò a cambiarsi d’abito. Celato nello ripostiglio del suo ufficio, ritrovò il Bantam da Ufficiale che aveva vinto ad un collega Alpino in Bosnia, barando al tressette: lo spolverò, se lo mise sulla testa e partì verso la Stazione Termini, dove sperava di rintracciare Totonno prima che partisse per il gelido Nord. Purtroppo però non fece in tempo e, folle d’ira, decise di partire ugualmente, alla volta della riunione del gruppo “scuolalpina.it.”
“Finalmente ci rincontriamo, X!” farneticò, mentre saliva sul primo treno diretto a Milano.

 

CAP. 3 – LA RIUNIONE DI VARESE

 

Alla presentazione di ‘In punta di Vibram’ la finta camicia hawaiana di Totonno stonava con la sobria compostezza degli altri partecipanti, che ricordavano piuttosto tanti ‘Madregalisti Moderni’ col cappello Alpino. Il sottufficiale del SisMax in missione segretissima sbraitava dicendo di essere ‘La Max delle Rockies’, arrivato or ora dalle lontane Americhe. Immediatamente Della Rocca, alle cui costole l’improbabile spia si era attaccata fin da subito, ebbe dei sospetti.
“Abiterà anche in ‘Merica da tanti anni,” fece notare con la sua abituale schiettezza al capo spedizione, che si adornava dell’improbabile nom de plûme di ‘Zanzibar’, “Ma a me mi pare che’l parla come un terùn!”
Stavano ancora confabulando, quando un’altro cospiratore, ‘Aste91’, arrivò trafelato per comunicare che si era presentato in carraia un altro strano soggetto. Diceva di provenire dal cento-trent’x-esimo corso, ma non apparteneva alla lista di posta, ed il suo capocorso (“X”, ovviamente) dava per certo che si fosse arruolato nei Carabinieri. 
Dovendo fare gli onori di casa, Zanzibar chiamò a sé gli altri membri del comitato editoriale, noto tra i sospetti cospiratori come ‘La Calotta’ (quella sorta di cupola mafiosa che secondo le indagini del SisMax avrebbe dovuto presiedere alle attività criminali della nuova fazione eversiva), e li incaricò di investigare sul conto dei due nuovi arrivati. Gli affiliati, con fare da cospiratori si allontanarono alla spicciolata. Anch'essi avevano dei nomi di battaglia piuttosto inconsueti: Civràn, W Popper, MdR... L'affiatamento e l'addestramento paramilitare erano tali che, senza farsi notare da alcuno dei presenti, riuscirono a ritrovarsi alla chetichella in prossimità dei servizi e, dopo un breve consulto, decisero di sottoporre i due individui sospetti ad una piccola prova. Chiamarono all’appello i due sottotenenti istruttori più fetenti della storia della Scuola Militare Alpina, e chiesero loro di organizzare una piccola sessione di addestramento formale. Fu come liberare due Dobermann affamati…

***

“ADUNATA PER TUTTI I FIGLI DAL CENTOSEDICI IN SU!” tuonarono all’unisono Girurto e Del Cardi, riempiendo di gelida paura i corpi cavernosi degli ignari presenti. Come un sol uomo i nipotastri, ancorchè sconcertati, si riversarono nel parcheggio: rigidi in un attenti perfetto, allineati e coperti nonostante i tanti anni di inattività. Totonno, che era oramai ciucco come la pera in una bottiglia di grappa Williams dimenticata su uno scaffale del retro, fu spintonato con una certa dose di rudezza da Della Rocca e s’inquadrò – bene o male - anche lui.
“SCHIFO!!! RIFARE!!!” sbraitò DelCardi.
“RI-POSO, AT-TENTI! SCARICAAAA!!!” s’indignò Girurto, e sortì dal portafoglio un’antennina telescopica con la quale cominciò ad ispezionare la precisione dell’allineamento: per righe, per colonne, per diagonali…
“LEI! MI GUARDI NEGLI OCCHI! COSA C’È LASSU DA GUARDARE, LEFIGHECHEVOLANO?!!” si sgolava DelCardi.
“Urca, ma questi stanno esagerando!” mormorò Civràn, che aveva ben inculcato in testa il senso della misura, ed andò a consultarsi con gli infami istruttori. Con non poca fatica e qualche minaccia, il bravo Alpino di Quota-Zero riuscì a convincere i feroci Girurto e DelCardi a mollare la presa: a lui interessava solo mettere sotto pressione i due sospetti, mica far trovare eterno a tutta la lista! Con l’espressione incarognita di un Dobermann a cui sia stato sottratto un osso, i due cerberi del CXV cominciarono a rilasciare ad uno ad uno gli “allievi meritevoli”, promettendo però a tutti un contrappello feroce. Restarono infine nello schieramento i soli Totonno, Mandolòn ed X (che ancora non si sapeva fosse coinvolto nella storia, ma stava già sui marroni a tutti), troppo sconvolti per rendersi conto della coincidenza, ma ammorbiditi al punto giusto per la seconda fase dell’operazione. La calotta passò quindi all’attacco.

***

Dell'indagine a Totonno fu incaricato Della Rocca, le cui doti di capienza si potevano intuire dal nickname stesso. Questi, assunta la sua espressione più bonaria e conviviale, invitò la sedicente “Max delle Rockies” ad uscire dallo schieramento per farsi un goccetto di quello buono. L'ignaro sottufficiale venne così coinvolto in una spirale alcolica crescente, alla quale non poteva sottrarsi, visti gli ordini precisi da parte del suo comandante, Tenente Colonnello Lostrunzo: avrebbe dovuto bere come un Alpino per avvallare la sua storia di copertura. Della Rocca si limitò ad offrire il primo giro, ricorrendo per gli innumerevoli gotti successivi a sottili artifici dialettici per far capire all'interlocutore che si trattava del suo turno di offrire. Finalmente, convinto dalle occhiatacce che gli rivolgevano gli altri membri del comitato editoriale, Della Rocca pose con fare insinuante e apparentemente ingenuo la fatidica domanda che avrebbe dovuto, inequivocabilmente, dimostrare la reale identità della sedicente ‘Max delle Rockies’:
"Max - hic! - di che cosa profuma il baccalà alla vicentina? Hic!"
Lo sciagurato rispose: “Ma, non saprei... di pesce, forse?"”
E fu così che la spia venne smascherata... Un AUC lo portò alla Stazione Centrale, gli comprò un biglietto di sola andata per Istanbul e lo abbandonò russante in un vagone infestato da viados.

***

Mandolòn, trovatosi di fronte X dopo anni di odio furibondo, decise di tentare il tutto per tutto e passò all’azione.
“MA È IMPAZZITO, SI MUOVE SULL’ATTENTI?!! STIA PUNITOO!!!” tuonarono all’unisono Girurto e DelCardi, strabiliati da tanta audacia.
“Ma va’ cagare, mona” rispose Mandolòn, esprimendo finalmente in chiaro ciò che tanti AUC avevano pensato prima di lui, e partì all’attacco.
“Te còpo, buelo!” grignava l’ufficiale del SisMax fuori di se, mentre gli sforzi congiunti dell’intero comitato editoriale non riuscivano ad allentare la morsa d’acciaio attorno al collo di X che aveva improvvisamente perso tutta la baldanza. Solo l’intervento del cappellano della fondazione Gnocchi riuscì a sedare l’ira funesta del mancato Alpino, ma ci vollero i riti d’esorcismo.

***

Ritornata la calma, X e Mandolòn vennero messi a confronto, e l’infame storia della raccomandazione che aveva negato la gloria del Bantam al miglior allievo mai transitato per la Smalp venne finalmente alla luce.
“Ma io credevo… ma io pensavo…” singhiozzava sommesso X, in piena crisi esistenziale. Sdegnato ed incredulo, il comitato editoriale si riunì ancora una volta per deliberare.
La seduta durò pochissimo. Stanca ma soddisfatta (per inciso, la presentazione del libro era andata benissimo), la Calotta decise di espellere X dalla lista ‘con infamia’, e di accogliere con tutti gli onori Mandolòn (che però dovette giurare di far cessare per sempre le indagini del SisMax).

E fu così che, dopo aver brindato con gusto alla giusta fine dell’intricata faccenda, la nuova calotta riunita partì per un’altra zingarata. Ma questa è un’altra storia…

 

Massimiliano della Roccia , 120° AUC - Nato a Vicenza nel 1960; ingegnere, sposato con due figli, vive dal '92 negli Stati Uniti, dove lavora nel settore automobilistico; è volontario presso i vigili del fuoco della sua città (Orion Township Fire Department). Il servizio di prima nomina è stato assolto presso la Centoquarantacinquesima compagnia del battaglione Trento.

Seconda parte

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