L'Eporediese
L’Ufficio Segnalazioni Tecniche era sito al quarto piano del Palazzo Uffici dell’Olivetti, alla periferia di Ivrea. Era uno stanzone sobriamente arredato, con gruppi di scrivanie disposte “a cluster” di quattro. Una di esse era occupata da Fiorenzo, perito industriale milanese al primo impiego. In quegli anni di boom economico, il diploma di perito garantiva un impiego immediato, con una discreta possibilità di scelta. Nonostante dovesse fare il servizio militare, Fiorenzo venne selezionato dall’Olivetti, purchè fosse disposto a trasferirsi a Ivrea. E così il baldo giovane, pendolare settimanale alla rovescia (in quegli anni tutti emigravano verso Milano…), si sistemò in una camera immobiliata di Via Aosta (un segno del destino ?), e prese servizio nella città “bella dalle rosse torri”, come diceva il poeta. L’Olivetti, in piena espansione, assumeva intere vagonate di periti industriali da tutta Italia, li sottoponeva ad un rigorosissimo programma addestrativo, e poi li smistava ai vari uffici ed alle sedi territoriali. I gruppi di giovani, eporediesi per forza e senza fissa dimora, di sera vagavano allo stato brado per la città. Proprio come i militari in libera uscita, avevano i loro punti di riferimento: il bar di via Palestro, i modesti cinema del centro, la mensa dell’Acli in piazza Vittorio, vicino al Municipio. Un giorno, proprio mentre Fiorenzo stava meditando di inoltrare domanda per il corso AUC che sarebbe iniziato in luglio 1967, un collega entrò in ufficio sventolando entusiasticamente un libro: “Ragazzi, vi avverto che oggi non farò un c. Sono stato sveglio tutta notte a leggere questo libro, e sono ancora emozionato. E’un libro meraviglioso, il più bello che abbia mai letto. L’ha scritto un ufficiale medico degli Alpini, un certo Bedeschi. Certo che vi dico il titolo: Centomila gavette di ghiaccio. Intanto lo presto a Fiorenzo, che sta per andare a militare. Ma leggetelo tutti che ne vale la pena”. Il giorno dopo, Fiorenzo aveva preso la propria decisione. Nato e cresciuto in una casa di ringhiera a Milano, Fiorenzo era figlio di un operaio della CGE che, fin da piccolo, gli aveva inculcato la passione per la montagna e per lo sci; compatibilmente con le ristrettezze economiche, egli praticava assiduamente entrambi gli sport. Fin dall’età di 14 anni, dopo un’attenta analisi di costi/benefici, si era iscritto al CAI ed alla FISI, in modo da usufruire degli sconti sugli impianti di risalita e nei rifugi. La decisione fu lungimirante poiché, in assenza di raccomandazioni e di qualunque referenza in ambito militare, probabilmente lo aiutò nel raggiungimento dell’obiettivo che si era prefisso: diventare un ufficiale degli Alpini. Il buon Fiorenzo partecipò alla selezione a Torino e, ottimista e pieno di speranze, ritornò a Ivrea in trepida attesa. Un paio di giorni prima delle ferie aziendali (l’Olivetti chiudeva in luglio, per non sovrapporsi alla Fiat), la Rita lo rincorse mentre stava uscendo dall’ufficio:”Fiorenzo, corri, c’è tua mamma al telefono da Milano, deve essere una cosa importante, mi sembrava un po’agitata”. E, in effetti, ne aveva motivo: “Sono venuti a casa i Carabinieri con un dispaccio urgente: entro domani sera devi presentarti alla Scuola Militare Alpina di Aosta”. Avvisati i colleghi, che vollero festeggiarlo ordinando un veloce rinfresco al bar del palazzo uffici, Fiorenzo ebbe appena il tempo per correre all’ufficio del personale, passare a ritirare le poche cose nella sua camera ammobiliata, e prendere l’ultimo treno per Chivasso/Milano. E il giorno dopo, provvisto della classica valigetta di fibra da coscritto, rifece lo stesso percorso a ritroso, rimanendo però sul treno fino al mitico capolinea. Era sera inoltrata, la stazione di Aosta era quasi deserta, Fiorenzo ne uscì indisturbato. Non aveva idea di dove si trovasse la caserma, ma la sua strategia per trovarla era semplice: “appena vedo un Alpino con le sigle dorate AUC sulle spalline della camicia, gli chiedo di indicarmela“. E così fece. “Scusa, sapresti indicarmi come raggiungere la SMA ? Devo iniziare il corso AUC” Calorose strette di mano, un paio di bicchieri da Marcel per festeggiare. Era difficile prevedere un primo impatto così fortunato con la naja. Poi, giusto in tempo per la ritirata, Fiorenzo venne consegnato all’ufficiale di picchetto e quindi inserito nel tritacarne della Smalp. Il tempo passa veloce e, prima ancora di rendersene conto, Fiorenzo si ritrovò nuovamente sul treno Aosta/Chivasso/Milano, questa volta indossando l’elegante diagonale nuova di zecca, con il Bantam in testa e uno scintillante baffo da sergente sul braccio. Tutti i neo-sergenti destinati al Settimo vennero concentrati a Belluno da dove, il giorno seguente, sarebbero stati smistati verso i vari reparti. Smarriti e disorientati nonostante si ritenessero (illusi) già dei vererani, furono sistemati in una grande camerata per il pernottamento. Fiorenzo, impalato sull’attenti come tutti gli altri, attendeva con trepidazione il proprio destino. Ma… quella voce, quell’accento piemontese così marcato…si era fatto crescere la barba, ma sembrava proprio lui…ma è impossibile, come poteva essere diventato colonnello così in fretta ? Giunto di fronte a Fiorenzo, lo osservò con sguardo severo e, senza profferire parola, gli fece l’occhiolino e proseguì. Anche Fiorenzo riuscì a rimanere serio ed impassibile, com’era giusto che fosse: Masoero non meritava certo di essere smascherato in quel modo. Del resto, ci sarebbe stato tempo per i saluti privati al termine della cerimonia. E poi, dopo soli dieci mesi di spensieratezza, avrebbero ripreso ad incontrarsi tutte le sere, alla triste mensa dell’Acli di Ivrea.
Mario Grigioni - Ha frequentato il 48° corso AUC nel 1967. Dopo il periodo da sergente
presso il battaglione Pieve di Cadore, ha prestato servizio di prima nomina
alla Smalp, come comandante di plotone alla Prima compagnia AUC ed istruttore
di trasmissioni del 50° e 52° corso AUC.
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