Strade di Luna
Un faccione di luna era appeso sopra un cucuzzolo ma appariva pallido e trasparente, come malato o finto. Osservava il mondo con aria stanca, come se quell’impegno fosse superiore alle sue forze. Oppure come se fosse arrivata al punto che non gliene importava. Luigi stava nel vento che scendeva dalla valle e si gustava il buio. Posò il fucile un attimo e si abbassò nella garitta per accendersi una sigaretta. Se lo avessero beccato a fumare.... Ma quella notte era troppo serena e fredda per stare a guardare certe cose e lui sentiva il freddo dentro e fuori e la sigaretta gli dava l’illusione di scaldarsi almeno le mani. C’era un lungo spazio buio prima delle prime luci del paese che, lo sapeva, era pieno di piantagioni di mele e poca altra frutta. Ma dal paese stava iniziando ad arrivare, trasportato dal vento, un profumo conosciuto di pane appena sfornato, segno che il fornaio aveva appena tolto dal forno il primo impasto, ben cotto, e lo aveva messo nella cesta metallica, a raffieddare fuori dalla porta della bottega. Era una cerimonia che si ripeteva ogni giorno. Quando era di guardia veniva spesso avvolto da quel profumo intenso che, nel buio che precede l’alba, gli riportava alla memoria la sua infanzia di paese, i profumi che la vita cittadina aveva fatto perdere e dimenticare, gesti, attività, mestieri che si erano andati perdendo durante l’adolescenza e la giovinezza. Tirò una lunga boccata dalla sigaretta ed esalò il fumo lentamente. Lo vide perdersi in un vortice d’aria che aveva probabilmente percorso tutta la Val Venosta, dai ghiacciai fino alla loro caserma. Senti un fruscio, sotto la garitta, il rumore di un passo cauto. Lasciò cadere la sigaretta ed afferrò il fucile, puntandolo verso il basso. “Non fare il fesso, sono Gualtiero.” Era un simpatico commilitone che proveniva dalla provincia di Pavia. “Sono venuto a farmi dare i soldi per il pane.” Luigi rispose: “Non alzare troppo la voce, c’è il Carogna di pattuglia, stanotte.” 11 Carogna era un capitano che aveva un senso della disciplina incredibile e non perdonava alcuna svista, distrazione, indisciplina, alzata d’ingegno. Il dovere era il suo unico credo. Le punizioni fioccavano sempre, quando era di pattuglia lui. “Lo so. Dai, butta i soldi che così posso andare a prendere il pane subito.” Anche quella era diventata una specie di tradizione. Quando si sentiva la prima sfornata, uno di quelli di guardia sgattaiolava via e se ne andava alla bottega. Nel frattempo un altro si infilava tra le piantagioni e rubava qualche mela. E nell’alba consumavano la prima colazione: pane ancora caldo e mele bagnate di rugiada. Luigi lasciò cadere dalla garitta le monete necessarie per acquistare due pani, con qualche titubanza. Non si voleva tirare indietro ma aveva quasi finito la “decade” e non sapeva come fare a comprare le sigarette. Ci sarebbe voluto un aiutino da casa, un biglietto da mille o anche da cinquecento. Solo che da casa non arrivava più niente da un paio di mesi e lui non sapeva più come fare a fare economia per mantenersi l’unico vizio che aveva. Gualtiero raccolse le monete e se ne andò verso la prossima garitta Faceva un rumore eccessivo, avrebbe rischiato di farsi beccare se fosse uscito lui a far la spesa. Quella caserma era un distaccamento di quella principale, in sostanza una scuderia in cui venivano tenuti i muli della 33, la batteria cui apparteneva. Fare la guardia lì dava una certa emozione, specie nei periodi di tensione, quando i rigurgiti autonomisti di qualche gruppo di altoatesini si estrinsecava in attentati ai tralicci o in qualche colpo sparato contro le caserme. Loro, là fuori, dalla parte opposta del paese rispetto alla caserma principale si sentivano su una linea di confine, circondati da un mondo ostile, senza alcun cordone ombelicale con la protezione offerta dalla costruzione vecchia ma amichevole della caserma madre. Era già successo un paio di volte che arrivasse l’ordine di stare di guardia col colpo in canna, segno di movimenti sospetti nel territorio. Un territorio nel quale si parlavano correntemente due lingue ma, ovviamente, solamente il tedesco se gli interlocutori erano loro. La strada che portava al paese brillava adesso come un nastro di luna, bianca e sterrata com’era, una strada secondaria, periferica, che conduceva alla loro scuderia e solo a quella. Dopo c’erano solo campi di mele. Terminò di fumare la sigaretta, tenendosi basso, al riparo della garitta. Guardò il fumo disperdersi nell’aria della notte e toccò il pacchetto. Era ormai semivuoto. Per quella notte non avrebbe più potuto fumare e mancavano ancora tre ore alla fine del suo turno. Pazienza. Comunque, che palle essere povero! Si alzò lentamente e scrutò la strada deserta, poi spostò lo sguardo sui campi di mele bui e silenziosi, appena sospiranti di foglie mosse dall’aria fredda. Nessuno. Tornò Gualtiero, con le monetine che gli tintinnavano nelle mani chiuse a formare un nido di rondine. “Via libera. Però smetti di far rumore che il Carogna ha orecchie lunghe e passo leggero.” Gualtiero gli fece un gesto come a dire “Non rompere” e, aperto il cancello, sgattaiolò via. Era un cretino, pensò, a stare in centro alla strada. Risaltava come una formica sul burro. Poco dopo si avvicinò Mario. Era senza cappello e senza il cinturone della baionetta ma portava in mano un sacchetto di tela scura. “lo vado.” Lui gli fece un gesto di assenso. Un po’ lo invidiava: meglio sgattaiolare per i campi a scegliere le mele migliori che stare lassù inchiodato, ad anchilosarsi nell’aria fredda. E’ vero che se lo avessero beccato... ma non era probabile. Mario sparì nei campi sul retro della caserma e lui riportò l’attenzione alla strada, cercando di individuare la figura di Gualtiero. Porco diavolo, si stava facendo tardi e quelle erano le ore che il Carogna preferiva per le sue sortite. Con ansia, spinse lo sguardo verso il paese. Non vide nessuno, nessuna macchia su quella strada lunare. Ma nessuna traccia di Gualtiero. Si accorse di essere nervoso sentendo il sudore che gli bagnava la parte del cappello a contatto con la cute ed i capelli. Per di più era stanco morto. Quel giorno avevano lavorato come bestie e lui aveva subito dovuto montare di guardia alla scuderia. Si era dato una sciacquata ed era andato in armeria a farsi consegnare il Garand e le munizioni, si era preparato e, quando la pattuglia si era messa in marcia, era del gruppo. Avevano attraversato il paese, incroci deserti, percorso stradette ordinate, rasentato case dalle cui finestrine ornate di belle tendine si intravedevano facce indifferenti che li guardavano sfilare con il loro passo cadenzato, con i loro inutili fucili di guerrieri del tempo di pace. Ma quello era una parte del loro Paese che non li voleva, nella quale gli stranieri erano loro. Lo si sentiva dalla lingua che parlavano, diversa dalla loro, incomprensibile, dura di inflessioni e di pronuncia. Lo si leggeva nelle insegne delle botteghe, addirittura nei segnali stradali. Che cavolo stava rimuginando, ora? Quelli erano italiani, lo volessero o meno. Chi se ne frega non gli interessava, se erano contrari: sarebbero rimasti italiani. E sapevano coltivare ottime mele. Però, a proposito di mele, dov’era finito Mario? Non aveva ancora finito di riempire il sacchetto? Man mano che le ore passavano, l’aria diveniva più fredda, fino a fargli lacrimare gli occhi. Si grattò la testa, sotto il cappello. Quella dannata garitta gli stava facendo gelare le orecchie ed il cervello. Poi.. .c’era sempre il rischio che il Carogna fosse in agguato... .anzi, forse era quel rischio che gli stava facendo gelare le orecchie, ecc. Scrutò la strada bianca e vide la macchia scura che era Gualtiero, in risalto sul chiarore della luna. Veniva giù lungo la strada con il grosso sacchetto di carta del pane appoggiato tra il braccio ed il fianco destro. Appariva allegro e spensiento come se stesse facendo una passeggiata in campagna in mia domenica di sole. Sembrava addirittura di vedere la penna del suo cappello brillare nella luna. “Bel carattere! Un carattere così ti aiuta in ogni situazione. Avessi anch’io un’allegria simile. Ma lui ha parenti grossi e potenti mentre io non so come fare a comprarmi un pacchetto di strafottute Nazionali senza filtro. Eppure siamo tutti e due italiani... .aaah, che boiata nascere poveri. Che boiata....” Sentì le gambe cedergli e dovette appoggiarsi al muro per non cadere. Che stanchezza, perdiana! E che sonno. Si udì un forte fruscio. Imbracciò il fucile e lo puntò verso il basso. Mario arrivava di fretta, con il suo sacchetto di mele che gli pesava sulle spalle. Spinse il cancello e si buttò dentro, correndo a nascondersi dietro una balia di fieno. Quasi contemporaneamente Gualtiero percorse gli ultimi metri e si avvicinò al cancello. Il sacchetto del pane era voluminoso. Lui abbassò il fucile, poi lo rialzò di colpo sentendo rumore di rami smossi e di passi pesanti dalla parte dei campi. “Altolà chivalà!” gridò e fece scattare la sicura del Garand. Nessuna risposta. “Alto là. Chi va là” gridò nuovamente. Dal campo uscì un montanaro grosso come un covone di grano ed incazzato come un covone di grano in fiamme. Impugnava un forcone e sbraitava in tedesco, indicando Gualtiero. Gualtiero era come paralizzato, con il sacchetto del pane in braccio e l’altra mano attaccata al cancello. Luigi mosse il Garand per indicare al montanaro di arretrare qualche passo e quello, sempre sbraitando, lo fece. “Gualtiero, fai vedere a questo bisonte cosa hai nel sacchetto. Con calma. Prudente.” Gualtiero stava tremando visibilmente e lui fu costretto ad incitarlo di nuovo. La lampadina che stava appesa sopra il cancello mandava una luce rossastra, bolsa, ma la luce della luna sopperiva alla scarsità di potenza della lampada. Adagio Gualtiero si avvicinò al montanaro e gli mostrò il sacchetto del pane. L’altro rimase interdetto. Poi, in un italiano stento, disse: “Scusa, io pensava ladro di mele. Scusa” E se ne andò nella notte. Luigi rimise la sicura al Garand e, quando non si senti più alcun rumore, disse a Gualtiero: “Vai a scovare quel coglione di Mario e dagli un calcio in culo. A momenti ci fa beccare.” Mario venne fuori dal suo nascondiglio e si avvicinò, mentre Gualtiero chiudeva a chiave il cancello. Luigi scese dalla garitta e raggiunse i compagni. A un tratto la tensione cedette e si misero tutti e tre a ridere come scemi, Gualtiero con il sacchetto del pane che mandava un profumo da svenire, Mario con il sacchetto delle mele che si bagnava di rugiada, Luigi con il Garand tenuto in braccio come un bambino. Lo stomaco dei tre prese a borbottare e ci furono nuove risate. Nel bel mezzo di tanta allegria sulla strada risuonarono dei passi, leggeri ma cadenzati. Una voce bisbigliò un ordine, in tono perentorio. “Altolà chivalà!” ripeté in tono più alto Luigi. Luigi gli ordinò di portarsi sotto la luce, gli fece pronunciare la parola d’ordine e, infine, chiamò uno dei suoi cominilitoni perché aprisse il cancello. Infine, il Carogna se ne andò con la sua ronda notturna, calcando bene il passo nella marcia e, quando furono spariti tra le prime case del paese, ci fu un sospiro generale. E infine tutti si poterono riunire alla luce di quel faccione pallido e trasparente, quasi malato o finto e, con l’appetito dei vent’anni, divorarono pane caldo e mele fresche, alla faccia dei montanari e del carogna.
5° Premio Letterario Nazionale “ALPINI SEMPRE” Scarica la motivazione del premio (in formato .pdf)
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