Il
6° Alpini dal Don a Nikolajewka Nella
prima quindicina del gennaio 1943 il Corpo d'Armata Alpino era schierato nella
piccola ansa del Don con le tre divisioni "Tridentina", "Julia",
"Cuneense" e con la divisione di fanteria "Vicenza". Più
a nord mantenava le posizioni sul Don la 2a Armata Ungherese, mentre al sud, le
divisioni italiane del II e, successivamente, del XXXV Corpo d'Armata, oltre a
reparti tedeschi attaccati in precedenza dai russi, erano già in fase di
ripiegamento. Una nuova violentissima offensiva russa fu sferrata a nord contro
il settore ungherese che veniva infranto. Perciò a metà gennaio,
solamente le truppe del Corpo d'Armata Alpino resistevano accanitamente alla spinta
avversaria e mantenevano saldamente le proprie posizioni sul Don, mentre i russi
avanzanti dilagavano sui fianche delle Divisioni Alpine e le accerchiavano alle
spalle. La "Tridentina", i suoi reparti principali erano il 5° e
i 6° Alpini, il 2° Artiglieria Alpina e il II Battaglione Genio, era attestata
sul Don, dove manteneva un fronte di circa 25 km. Gli alpini, come al solito lavorando
sodo e duramente, erano riusciti a predisporre opere campali ed efficienti capisaldi
così che la linea, seppure troppo estesa rispetto alle forze che la presidiavano,
offriva un buon margine di solidità e sicurezza.
Difatti,
il giorno 16, due violentissimi attacchi sferrati sul fornte del "Vestone"
e dell'"Edolo", erano stati nettamente respinti con gravissime perdite
per gli aggressori.
Destò perciò non poca meraviglia
l'ordine di ritirata che coglieva gli alpini di sorpresa, non essendo gli stessi
a conoscenza che ormai i russi si stavano attestando e fortificando alle loro
spalle per completare l'eccerchiamento e chiuderli in una mortale stretta. Il
17 gennaio alle ore 17, la "Tridentina" iniziava il ripiegamento e,
prima di giungere in vista di Nikolajewka, doveva espugnare in 10 giorni di aspri
e furiosi combattimenti vari paesi già occupati dai russi. Occorre tenere
ben presenti le avverse condizioni che ostacolavano le azioni degli alpini. Inferiori
come numero agli avversari, dovevano muoversi in un clima siberiano, continuamente
flagellati da gelide tormente di neve, con temperature che oscillavano tra i 30
e i 35 gradi sotto lo zero e per di più con indumenti ed equipaggiamenti
assolutamente inadatti al clima rigidissimo. Senza viveri, perché le salmerie
con i pochi rifornimenti si assottigliavano sempre più, essendo in parte
già tagliate fuori dai russi, erano costretti a rifornirsi, se così
si può dire, in paesi con risorse estremamente scarse. Venivano assaliti
sui fianchi da colonne di carri armati, martoriati dagli aerei con improvvisi
e pesanti mitragliamenti a bassa quota, insidiati dai partigiani che, indossando
a volte divise italiane, si infiltravano nei reparti cercando di gettarvi lo scompiglio.
Aggiungasi a tutto questo una massa di sbandati, disarmati e disperati che si
accodavano o, peggio, si frammischiavano agli alpini ancora organizzati, scompaginandone
i reparti e impedendone i movimenti. Erano in totale circa 40.000 tra ungheresi,
tedeschi, italiani, e persino russi bianchi. Vi erano inoltre alcune migliaia
di soldati feriti e congelati che si stipavano sulle slitte, contribuendo anch'essi
a ritardare la marcia dei reparti combattenti. Ogni
giorno bisognava combattere ed ogni giorno centinaia di alpini cedevano nelle
furiose lotte insidiati dai T34 russi, per espugnare i paesi dove i sovietici,
comodamente acquartierati e trincerati, li attendevano sempre più furiosi
per non riuscire ad annientare i resti dei sempre indomiti reparti. Ma la marcia
della "Tridentina" procedeva irresistibile, caparbia e tutti i capisaldi
pazientemente preparati dal nemico venivano letteralmente frantumati dai nostri
che avevano in tal senso ormai trasformato la loro ritirata praticamente in una
vittoriosa avanzata.
Finalmente
il giorno 26 gennaio, la Divisione giungeva davanti a Nikolajewka, grosso paese
sul fondo di una grande balca. Ma ormai gli alpini, comandati dal leggendario
Generale Reverberi, sfiniti da tanti giorni di lunghe marce e di furiosi combattimenti,
quasi completamente privi di artiglierie, poiché gli automezzi erano stati
tutti abbandonati per mancanza di benzina, senza armi pesanti per la impressionante
moria dei fedeli muli, con le munizioni quasi esaurite, si trovarono di fronte
ad una fresca divisione russa, perfettamente efficiente come equipaggiamenti e
come armamenti, fortemente attestata nel paese, e per di più con l'appoggio
di numerose artiglierie. Ma fu in queste condizioni di paurosa inferiorità
di numero e di mezzi che gli alpini si dimostrarono degli indomiti e strenui combattenti.
Costretti
a scendere dall'alto di una collina, allo scoperto, verso il paese, dovettero
ripetere più volte gli attacchi, appoggiati dai bravi artiglieri che sparavano
a zero gli ultimi proiettili con i pochissimi pezzi ancora rimasti, in una disperata
e suprema volontà di vittoria contro un nemico deciso a non cedere e convinto
di distruggere, una volta per sempre, gli ultimi reparti che componevano il Corpo
d'Armata Alpino.
Riusciti
finalmente a giungere nel paese, a prezzo di gravissime sanguinose perdite, dovettero
espugnare, una per una, tutte le isbe in furiosi corpo a corpo.
La
battaglia era vinta. NIKOLAJEWKA
ERA CONQUISTATA! Alcune decine di nostri ufficiali, tra cui il generale Martinat,
caduto andando all'assalto, alpino tra i suoi alpini e centinaia e centinaia di
penne nere, avevano generosamente donato le loro giovani vite in un supremo anelito
di cosciente eroismo. Troppo lungo sarebbe scrivere qui sugli innumerevoli episodi
di valore compiuti dai nostri soldati nelle durissime fasi della ritirata, effettuata
in condizioni di clima eccezionale, in un territorio pauroso per la sua immensità
e distanti migliaia di chilometri dalla propria terra.
Tutti
i reparti si sentono ancora oggi legati nel ricordo a particolari fatti d'armi.
Rammentiamo,
e ci scusiamo per le inevitabili omissioni, le durissime prove del "Verona"
a Postojali, dell'"Edolo" con il fedele gruppo "Valcamonica"
a Skorobib e Sceliakino, del "Vestone" e "Valchiese" nei furiosi
combattimenti di Opyt, Nowa Karkowka, Sceliakino, Malakajewka, Nikolajewka; gli
eroismi della 45a batteria del "Vicenza" e del II Battaglione Genio
a Opyt. Non
possiamo dimenticare Warwarowka, tomba del "Morbegno", degli artiglieri
della 31a "Bergamo" e dei gloriosi reparti del Reggimento Artiglieria
a cavallo, che si erano riuniti ai reparti alpini.
Citiamo
ancora Arnautowo con la 33a batteria del "Bergamo" e parte del "Valchiese"
nella notte tra il 25 e il 26 gennaio, e gli eroismi compiuti dal "Tirano"
nella mattina del 26, prima della battaglia finale.
E
ricordiamo ancora la tragica odissea dei fanti della divisione "Vicenza"
che alla fine conterà il minor numero di superstiti e vogliamo additare
alla riconoscenza di tutti i resti delle gloriosissime divisioni alpine "Julia"
e "Cuneense", che pur essendo già state durissimamente provate
nei giorni precedenti alla ritirata, si batterono superbamente anche davanti a
Nikolajewka.
Prima
di cncludere queste brevi note rievocative piace anche rilevare che gli alpini,
pur nell'ansia dei combattimenti e costretti dalle ferree necessità a condurre
lotte durissime, seppero sempre dare prova di un profondo senso di umanità,
sia verso il nemico che verso le popolazioni, così da esserne ricordati
con doverosa simpatia.
Danilo Baietti Da "L'Alpino",
novembre 1967 Torna all'indice
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