Una radice per due uomini San Martino è famoso, tanto che si poteva ricordare benissimo la sua azione, anche senz'essere un grande praticante della Fede. Certi alti insegnamenti rimangono in noi, e ne emerge lo spirito al momento che si può chiamare della "verità". Eravamo nella grande sacca del Don nel gennaio 1943, che i russi erano riusciti a fare perché "l'economia della battaglia" aveva suggerito, ai tedeschi, di sacrificare il corpo d'armata alpino italiano. Nella foresta russa era tornata un poco di calma, le armi tacevano: così decisi, spinto dai morsi della fame, di mangiare l'unica cosa che possedevo. Quel girno potevo contare in una radice gelata, o forse una streminzita, scartata, barbabietola da zucchero? Tirai fuori, e cominciai a raschiarla con il pugnale per togliere residui vari e buccia. Mi camminava vicino un alpino del mio reparto che alla vista della radice si avvicinò maggiormente, e rimase al mio fianco osservando con particolare attenzione. Lo guardai e capii...; l'operazione di raschiatura continuava, e il suo occhio chiedeva, e lo stomaco esigeva; aveva qualche moto che rasentava la volontà di parlare, ma non parlava. Lo sentivo vicino e partecipe ad ogni mia mossa, viveva con me per quella radice, vicina e irrangiungibile. Avevo già presa la mia decisione, che nasceva dalla comprensione profonda e dalla gioia immensa di fargli una grata sorpresa. Lui taceva, era un valtellino forte e dignitoso, non voleva piegarsi, aveva vergogna di chiedere. Giunse il momento che ognuno aspettava, ed in quel momento la lama tagliò in due pezzi uguali l'umile radice. La metà fu data all'alpino, che l'accolse con tali sentimenti di gioia da dimenticare, per un poco, il luogo e la morte. La mia felicità era pari alla sua! Mangiammo quel cannellotto di ghiaccio che poteva dare seri disturbi al corpo, ma era l'unica cosa che ci aveva dato al Provvidenza. Quando una fucilata nemica sfiorò il mio addome e bucò la sua mano, il suo spirito, ormai sereno, fiducioso nella vita, non diede nessuna importanza alla cosa e velocemente si medicò. La lotta per la salvezza continuò dura e tornammo a rivedere il cielo italiano. Passarono tanti anni, mi trovavo in Valtellina per un periodo di lavoro, e lo rividi, ma brevemente; quando un giorno, ripassando dal suo paese per un servizio, lo cercai per salutarlo e lo trovai che lavorava nel pollaio. Una stretta di mano e una manata sulle spalle, e poi parlammo del più e del meno: avevamo vissuto lo stesso calvario, ci guardavamo negli occhi con quello sguardo sereno di chi ha coscienza di un passato di dovere e dignità. Quando gli dissi: "adesso devo andare", mi rispose: "attenda un momento". Si allontanò, tornò poco dopo con un pollo, e volle assolutamente lo accettassi, ed aggiunse: "non paga neanche minimamente quel pezzo di radice che mi aveva dato nella sacca". Fu in quel momento che ricordai quel piccolo gesto, doveroso per un comandante e soprattutto cristiano. Vittorio
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