Prefazione a YOL - Prigioniero in Himalaya
di Mario Rigoni Stern

 

Ogni tanto ci giungono dal passato lettere, pensieri, memorie che ci riportano dentro la storia, sì che ripensandola ci viene da dire che il nostro vissuto in quella prima metà del XX Secolo è stato veramente denso, drammatico e determinante per molti di noi e per quelli che vennero dopo.
Cinquant’anni non sono poi tanti, ma forse mai prima tanto è  mutato in così breve tempo, non solo tra i popoli e le nazioni ma anche nel modo di vivere del singolo, nell’arte e nella scienza, nei rivolgimenti politici e nei costumi.  La Seconda  Guerra Mondiale ha portato una grande svolta all’umanità e diventa molto importante leggere le testimonianze di chi in prima persona, con coscienza e riflessione, ha partecipato agli eventi.  La testimonianza diventa così non solo un fatto letterario ma pure esistenziale, e il pensiero si allarga sul perchè, sul come, sul prima e il dopo, sull’attuale.
Non è quindi un romanzo questo che vi apprestate a leggere, sono cronache molto bene descritte, arricchite da sentimenti civilissimi, sotto forma di lettere di uno che ha vissuto quegli anni apparentemente lontani.
Uomini d’altri tempi? Altri fatti? No, forse soltanto più coscienza, occhi che osservano, menti che riflettono quando arriva il momento dei valori essenziali e semplici, desiderio di conoscere e di imparare, ma anche apertura nell’accettare altri modi di essere, applicando quel vecchio proverbio russo che dice nel convento degli altri non si porta la propria regola.
Gualtiero Benardelli era stato Ufficiale di complemento degli Alpini ed era noto perchè aveva effettuato notevoli imprese sci-alpinistiche (aveva prestato servizio nel mio stesso Battaglione, il Vestone, dove sono stato Sergente in guerra quindici anni più tardi con gli stessi Ufficiali permanenti.)
Nel 1941 si ritrova prigioniero in India, nel Campo di Yol ai piedi delle montagne himalayane. È lì giunto dall’Africa Orientale dove aveva responsabilità come Consigliere di Governo.  Da dietro i reticolati, dopo il passaggio dei monsoni, guarda con tanto desiderio le grandi montagne che si elevano oltre la pianura, mèta di tutti i sogni giovanili e scrive a casa lettere piene d’affetto dove non compaiono parole di lamento, ma di memorie care, e domanda notizie; scrive anche osservazioni sul clima, sul paesaggio, sull’ambiente naturale, di bellissimi fantastici tramonti e di cieli stellati altissimi. Non chiede cibarie ma qualche buon libro; non indumenti e, unico lamento, una gran noia per questa vita, monotona, insulsa e vacua  e tanta nostalgia per le nostre montagne. Manda lettere bellissime al padre e non sa che nel frattempo è deceduto.
Dopo il settembre del 1943 a lui e ad altri compagni di prigionia, danno la possibilità di uscite su quelle montagne che vedono lontane, con vere e propie spedizioni.  Montagne grandi, immense, a loro nuove e misteriose, con popoli sconosciuti.
Andar fuori dal Campo di prigionia, camminare per territori sconosciuti è ritrovare una libertà che mai più uscirà dalla memoria.  Lo so anch’io, l’ho trovata un giorno.  Gualtiero Benardelli per sua natura e per sua cultura non l’aveva mai perduta.

 

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