Tutti
erano fratelli La
sera era scesa su Nikolajewka. Già tutta la colonna era entrata in paese
e qua e là si accendevano dei fuochi. Sopra le isbe stagnava il fumo dei
camini e dei bivacchi, l'odore del combattimento era ancora nell'aria. Il freddo
rendeva acuti i rumori ma pareva che oltre le ultime isbe e gli ultimi orti nulla
più esistesse: solo il buio. Per le strade passavano in silenzio slitte
e gruppi di uomini. Sembravano ombre che uscivano dalla neve. Erano, invece, gli
ultimi del Corpo d'Armata Alpino: gli sbandati, i feriti, i congelati e i generosi
che si erano attardati a cercare un viso caro o noto tra quelli rimasti sul campo
di battaglia.
Un
sergente dei conducenti andava affannosamente da una strada a un'altra, da isba
a isba, da un gruppo di ombre a un altro e a tutti chiedeva: - DI che reparto
siete? Di quale reparto?
Durante
tutto il giorno aveva corso lungo la colonna a cercare munizioni per quelli della
sua compagnia che combattevano per aprire la strada. Le aveva anche portate al
mitragliatore che sparava dalla scarpata della ferrovia e verso il tramonto, quando
il Generale aveva ordinato: "Tridentina avanti!" alla testa dei suoi
pochi conducenti aveva inastato la baionetta gridando: "Sconci, avanti!".
Ora
non era a riposare accanto ad un fuoco ma affannosamente chiedeva a tutti: - DI
che reparto siete?
- Del Tirano, rispondevano. - Del Morbegno. - Del Gruppo
Bergamo. - Del Verona. - Della Julia. O anche si sentiva gridare: "'raus
Italiener!". Trovò anche gli amici della sua compagnia che gli chiesero:
- Dove vai? Che cosa cerchi? Vieni qui con noi. Finalmente si sentì
rispondere: - Valchiese! - Di quale compagnia? domandò. - Della tre. -
E quelli della cinque? - Guarda in quella stalla; forse saranno lì.
Stavano
silenziosi attorno a un piccolo fuoco. Alcuni, accucciati, dormivano; uno fasciava
il braccio di un compagno con una ventriera; una altro scioglieva della neve nel
coperchio della gavetta. - Siete della cinque del Valchiese? - domandò.
- Siete di Cologne? - Della cinque del Valchiese. - risposero. - Chi cerchi? -
Mio fratello Giuseppe. Ditemi dov'è.
Ora,
vicino al fuoco, lo riconobbero. Altre volte lo avevo visto alla compagnia quando
veniva a salutare il fratello e i paesani; portava sempre sigarette e anche vino. -
Lui è del suo plotone, - disse quello che stava liquefacendo la neve. -
Ma è ferito. È quello sulla paglia.
Il
sergente dei conducenti si chinò sul ferito e chiamò: - Paesano,
paesano - toccandolo leggermente sulla spalla. Il ferito aprì gli occhi
lamentandosi e lo riconobbe: - Ahi, - disse - ahi
Tuo fratello è
rimasto ferito stamattina
verso la ferrovia. L'ho visto che sanguinava dal
mento
Era vicino al casello quando siamo scesi la seconda volta
Datemi
acqua
Uscì
di corsa, senza parlare. Attraversò il paese, gli ultimi orti e incominciò
a chiamare. Dei gemiti gli risposero, poi altri ancora e non sapeva dove andare.
Delle cose oscure, immobili, si intravedevano sulla neve. Sopra il cielo era buio
e profondo, dietro v'era il paese con i fuochi e innanzi il nulla e questi gemiti.
Si avvicinò a un'ombra sulla neve, stette un poco sospeso; si levò
i guanti e si inginocchiò accanto. Era una cosa fredda come la neve, rigida
come il ghiaccio. Si rialzò e camminò oltre
Sì, questo
si lamentava. È vivo! Gli sollevò la testa. Cercava di riconoscere
i lineamenti di quel viso. - Oh
portami via. Portami via
oh
fai piano
le gambe
piano.
Se
lo caricò sulle spalle e lo portò nelle prime isbe. Per tutta la
notte, senza aver conoscenza del tempo né della fatica, per tutta la notte,
chiamando suo fratello Giuseppe, portò i feriti nelle isbe di Nikolajewka.
Per tutta la notte dal casello della ferrovia e dal terrapieno, e poi da più
lontano, a destra e a sinistra, oltre la scarpata e verso il viadotto, inciampando
nella neve, barcollando, cadendo, senza guanti e senza passamontagna. Scrutava
nel buio il viso dei morti pulendoli dalla neve, ascoltava i gemiti dei feriti
e li portava giù nel paese perché ognuno era ormai suo fratello.
Per tutta la notte dal 26 al 27 gennaio 1943 a Nikolajewka, in Russia, finché
venne l'alba. Ormai brancolava come un ubriaco e con gli occhi semichiusi e fissi
vedeva come in sogno Cologne, in provincia di Brescia, Italia. Finché i
suoi conducenti lo misero su una slitta con i feriti per riprendere la strada
verso Ovest.
Mario Rigoni Stern Da "L'Alpino" Torna
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