Il primo capitolo di "Quando spiavo gli alpini "

Il Vecchio Bastardo m’ha fregato un’altra volta.

Dio, come lo odio! Odio i suoi capelli unti e incolti, la sua carne flaccida e cascante, i suoi modi viscidi… Ti dice una cosa e ne pensa un’altra, ti guarda con tranquilla pacatezza e si sta preparando a strappar via, a morsi, un altro pezzo della tua anima. Non riuscirò mai ad essere come lui. Sì, ormai l’ho capito e mi sono messo il cuore in pace. La mia carriera è finita, da tempo: eseguirò ordini fino al giorno della pensione, mai libero di elaborare strategie, di coordinare una squadra. Al massimo potrò scegliere i particolari dei singoli atti tattici, come li chiama il Bastardo, anche se a volte tutto si riduce a fotografare un imbecille che non sa niente e non c’entra niente, oppure a controllare per giorni interi la crepa di un muro nel parco.

D’accordo, in fondo non va così male: da un po’ di tempo certe cose non le faccio più. Solo lavori di fino, per il dottor Vicini: limare il cavetto di un freno qui, piazzare una microcarica lì… piccole cose, piccole spintarelle al destino che nessuno noterà mai, perché all’Istituto lavoriamo bene, non sbagliamo mai, checché ne dicano gl’imbecilli, secondo i quali nei Servizi italiani c’è gente buona solo a ordire golpe. Idioti, se sapessero! E noi qui, a tribolare dietro al Vecchio Bastardo, a rischiare la pelle in nome degli “interessi nazionali”.

Chissà dove ho sbagliato… E sì che ne ho resi, servizi alla Patria! Ma evidentemente per arrivare ad un certo livello devi essere proprio stronzo, stronzo dentro, ed io non lo sono. Insomma, non più di tanto, ecco…

Sì, forse il punto è proprio questo: io pongo un limite, metto dei paletti. I civili non contano niente: tanti piccoli idioti persi dietro le loro meschinità. Ma allora perché essere bastardi anche tra noi? Perché giocare sporco proprio con gli unici che potrebbero capirti, visto che fanno la tua stessa vita, prendono le tue stesse mazzate nella schiena? Senza un “grazie”, senza un “bravo”, senza un “adesso basta, pìgliati una vacanza”… Come si fa a considerare i propri compagni di squadra come pedine da mandare al massacro?

Il Bastardo in questo è un maestro, non c’è che dire.

Anche l’ultima volta: “missione alla Smalp” l’ha chiamata.

«Vicini, ecco finalmente un incarico adatto a lei…»

Ed io, stupido, tutte le volte gli credo! “Ehi,” è il mio primo pensiero, “il Vecchio s’è finalmente accorto di me! Mio Dio forse l’ultima volta sono riuscito a dimostrargli che…”

Il dramma sta tutto qui: ci casco sempre. Una spia… Ma chi, io? Io una spia? Ma non scherziamo, signori…

Naturalmente non è che ci caschi perché accetto l’incarico, le missioni non si accettano né si rifiutano: il Bastardo dice una cosa e tu la fai. No, ci casco perché ogni volta sono subito pronto a sfoderare il vecchio entusiasmo, faccio progetti, elaboro tattiche… So già che mi costeranno lacrime e sangue, ma so pure che grazie ad esse il mio lavoro risulterà più efficace, quindi più meritorio, e forse… forse…

Insomma: un disastro, ogni volta.

“Missione alla Smalp”. Ma che andasse a cagare, lui e gli Alpini!

«Vede, Vicini,» mi ha detto col suo fare intrigante e falsamente complice, «io l’ho sempre considerata fuori posto, nel suo ruolo. Lei ha un fisico prestante, rispetto ai suoi colleghi, quelle fighette imbottite di tecnologia... Insomma, immaginarla immobile per ore davanti ad una “casella”, che non si sa bene se e quando sarà riempita, mi è sempre parso uno spreco d’energie, oltre che... diciamolo, una cosa un po’ ridicola. Ora si presenta l’esigenza di effettuare alcuni controlli in un ambito specifico. E qui, per una volta, le sue spalle larghe…» non so bene come o perché, ma quello che tutto sommato era un complimento, pronunciato da lui risultò un insulto «…serviranno ai nostri scopi. Alpini, caro Vicini!»

«L’Esercito?» domandai stupito. «Ma...»

Il Bastardo aveva alzato la mano prim’ancora che aprissi bocca. Inutile: era troppo, troppo avanti rispetto a me, come al solito. Dovette comunque perdonarmi, perché si limitò a riprendere il discorso, senza accennare al mio “fiato sprecato” – quello che, fra i Sette Peccati Capitali, lui considerava il più grave.

«Sì, teoricamente non toccherebbe a noi. Questo le dà la misura del livello di preoccupazione raggiunto dai nostri capi.»

Perché? Perché il Bastardo riusciva ogni volta a scatenare il mio interesse, a farmi sentire un privilegiato, per il solo fatto che stavo lì ad ascoltare le sue stronzate? Certo che la cosa era proprio strana: noi spiare l’Esercito? Per una volta mi comportai come piaceva a lui e mi limitai ad assumere una posizione più rilassata, aspettando con tranquillità le informazioni che una volta tanto sarebbero giunte senz’alcuno sforzo da parte mia.

«Gli “scoreggioni” sono molto, molto preoccupati. Probabilmente le loro apprensioni risulteranno eccessive, ma non vorrei che per una volta ci azzeccassero. Quindi...»

“... dal momento che ti costa poco...” aggiunsi mentalmente per lui, pensando proprio come lui al mio fondoschiena.

«... quindi, ecco le finalità della sua operazione: individuare, tramite infiltrazione, l’humus ideologico nel quale le nostre truppe alpine portano avanti le loro attività addestrative. Entrare in contatto con la bassa forza, i militari di leva, ma anche e soprattutto con i quadri. Sondare il terreno, verificare la fedeltà alle istituzioni, ed in particolare gli eventuali contatti tra questo Corpo ed un ben definito schieramento politico dell’opposizione...»

«Ma...»

«Non quelli, dannazione!!» Il Bastardo sobbalzò sulla sedia: ero riuscito a fargli perdere la pazienza. Oh, Cristo, c’ero cascato un’altra volta! Certo, non erano mai quelli! C’era sempre qualcun altro, qualcos’altro... Eppure, nonostante quelli non c’entrassero mai, era sufficiente che noi li nominassimo perché lui, immediatamente, perdesse le staffe. Anzi io, ad essere precisi, non li avevo nemmeno nominati: avevo semplicemente atteggiato la faccia a forma di partito comunista. Gli era bastato.

«C’è una piccola, nuova formazione politica» continuò, riprendendo il controllo di sé. «Piccola, ma terribilmente incazzata. Non può non conoscerla, Vicini, si svegli!»

«La Lega Lombarda, signore» ammisi, capendo finalmente tutto.

«Ecco, bravo. Ora, ’sti qui stanno rompendo il cazzo: con la secessione, col romaladrona, col nonvipaghiamopiùtasse. E qualcuno si sta... amareggiando. Sta preoccupato. Ha le paturnie. Vuole vederci chiaro. Anche perché l’idea di non pagare tasse, per di più impunemente, risulta affascinante per molte, troppe persone.»

A me sembrava proprio una stronzata. Davvero, una stronzata! Forse lo sembrava anche al Bastardo. Però, quando i politici (o gli “scoreggioni”, come amava chiamarli), iniziavano ad arricciare il naso, lui si metteva in moto. Con una devozione, con una diligenza davvero commoventi, soprattutto per noi che lo conoscevamo bene… Si diceva che qualche volta avesse agito addirittura senza ordini firmati. E in effetti si capivano al volo, lui e gli scoreggioni, anche perché collaboravano da un’eternità, si riconoscevano al buio, come fanno dei piedi callosi con un paio di vecchie pantofole sfondate. Era una cosa che i Servizi di tutto il mondo c’invidiavano: per forza, praticamente solo Cuba aveva le stesse facce al Governo da tanto tempo!

«Copertura» proseguì. «Lei sarà un sottufficiale del Genio, in prestito agli Alpini...»

«Sottufficiale?» dissi, storcendo impercettibilmente la bocca. Intendiamoci, non è che in fatto di coperture fossi solito fare lo schizzinoso: nella mia vita ho fatto di tutto, veramente di tutto, dal pedofilo al doppiogiochista, dal rivoluzionario al garzone di bottega, all’assassino – cioè, quello l’ho fatto per davvero, ma in tal caso si trattava di ordini espliciti. Però c’era una tradizione non scritta, secondo la quale un agente dei Servizi, quando aveva a che fare con personale delle Forze Armate, doveva essere un ufficiale. Magari subalterno, magari fesso, se la parte lo imponeva, ma pur sempre ufficiale. Eccheccazzo.

«Sì, un sottufficiale» scandì invece il Bastardo, non tanto perché provasse un qualsiasi sentimento, nei confronti della categoria, ma perché aveva capito che la cosa m’infastidiva. «In quanto sottufficiale, lei avrà la possibilità di frequentare tutti, pur restando defilato: truppa, ufficiali e allievi. Inoltre ne otterrà l’istintiva fiducia: un bel sottufficiale, massiccio e ginnico, ispira fiducia, perché il suo grado significa esperienza, autorità e pochi grilli per la testa. Ha presenti i film americani?»

«... “Allievi”, signore?»

«Eggià, perché qualche sospetto c’è. La Lega, all’inizio, se l’intendeva con l’Union Valdôtaine… Ora, si dà il caso che proprio ad Aosta vi sia la “Smalp”, la Scuola Militare Alpina. La conosce?»

«Eh... il “Monte Cervino”, la conquista dell’Everest...»

«Bravo, proprio quella. Solo che lì adesso ci addestrano gli allievi ufficiali di complemento. Gli fanno un bel mazzo, sa? Proprio per questo ho pensato a lei ed alle sue spalle larghe.»

Sempre quella sensazione d’essere insultato.

«Ebbene, attualmente la Scuola è comandata dal generale Ardinghi. Ma a noi non interessa lui, che è persona politicamente… posata e al di sopra di ogni sospetto. A noi interessa il colonnello che comanda il battaglione Allievi – o “AUC”, come amano definirli. Insomma, lei sarà il maresciallo Vinti, artificiere del Genio…» proseguì il Bastardo, consultando un foglio matricola all’interno di un fascicolo.

«Maresciallo: proprio come Badoglio. Mio padre sarebbe fiero di me…»

«Non interrompa. Seguirà il battaglione AUC nella maggior parte delle sue attività addestrative: marce, poligoni e naturalmente assalti a fuoco. Spero che conservi ancora qualche ricordo, riguardo agli esplosivi tradizionali…»

Accennai un gesto affermativo.

«Spero anche si ricordi l’attenti, il riposo e tutte le stronzate dell’armamentario formale» continuò con un sorriso malizioso. «Il fatto di provenire dal Genio e di essere un maresciallo di provata esperienza la esimerà dallo scattare sul “presentat-arm” col fucile… no, con la sciabola perfettamente distesa; quelli però ci tengono… Veda solo di non esagerare.»

Mi scappò un sospiro d’impazienza: ci mancava solo che si raccomandasse sull’atteggiamento da tenere sul campo… I capi dovevano avergli messo l’argento vivo addosso. Percepì la mia insofferenza e si morsicò le labbra, un po’ in difficoltà: aveva capito che per una volta il fiato lo stava sprecando lui.

«Assistenza?» domandai, tanto per toglierlo dall’imbarazzo.

«Nessuna: risponderà direttamente a me, quando riterrà concluso il suo compito. Del resto non c’è fretta: la cosa è importante, ma non urgente. Torni solo quando avrà le idee chiare, e un paio di nomi.»

«Quindi anche la copertura è totale, signore?»

«Sì: siamo riusciti ad intercettare una loro richiesta di personale.»

«Roma ladrona, signore!» dissi, ritirando la cartelletta che mi stava porgendo, alzandomi dalla sedia e salutando impeccabilmente all’immaginaria tesa.

Incredibilmente, lui rispose con un saluto altrettanto impeccabile. Però non mi lasciò andare subito. Eh, no: venenum in cauda, dicevano gli Antichi.

«Un’ultima raccomandazione, Vicini: non si cali troppo nel personaggio. Sappia che il rischio c’è.»

Ma che accidenti voleva dire? Se avesse pronunziato solo la prima frase, avrei pensato che il Vecchio iniziava a perdere colpi; peggio, che stava impazzendo. Una simile raccomandazione, nel nostro mestiere, è del tutto superflua… Altro che “fiato sprecato”, è praticamente un insulto a chi la riceve!

Però ne aveva aggiunto un’altra: “il rischio c’è”. Insomma, si assumeva delle responsabilità, ammetteva che il pericolo era oggettivo, che lo capiva e – quasi – era pronto a comprendermi, se mi fossi lasciato un po’ andare. La cosa non aveva senso.

Cioè, in realtà non potevo ancora capire. Come al solito.

 

 

§

 

Affrontai il viaggio in treno e devo ammettere che in divisa facevo la mia figura: capelli neri a spazzola, occhi di ghiaccio, spalle dritte, fisico asciutto e slanciato… insomma, un aspetto fiero e “massiccio”, come aveva detto il Bastardo.

Arrivai ad Aosta in serata. Un taxi mi portò alla caserma “Cesare Battisti”, in Via San Martin de Corleans. L’ufficiale di picchetto, confrontata la “bassa di trasferimento” col suo registro delle consegne, mi assegnò un alloggio, chiese se mi servisse qualcosa e, ricevuto un diniego, annunciò che l’indomani mi sarei dovuto presentare al colonnello Manara, il comandante del battaglione. Poi chiamò una guardia e mi fece accompagnare al circolo sottufficiali, dov’era la foresteria. Una bella caserma, constatai, nonostante l’oscurità: vissuta, ma tirata a lucido nei limiti del possibile. Percorrendo i cento metri che separavano il corpo di guardia dal circolo sottufficiali, spostati i bagagli sul braccio sinistro, dovetti rispondere al saluto militare una decina di volte... e sempre a soldati che correvano, neanche fossi finito fra i Bersaglieri.

La stanza assegnatami era pulita e ordinata. Controllai l’orologio: in caserma avevano cenato da tempo, però era giusto l’ora in cui – fuori da lì – si affollavano i ristoranti… ammesso che ad Aosta un ristorante potesse mai risultare affollato.

Al diavolo, perché no? Magari ci scappava pure qualche nuova conoscenza… In fondo un aitante maresciallo degli Alpini poteva ben fare breccia nel cuore di qualche aostana! Dopo una rapida doccia decisi di vestirmi in modo leggero: dicembre era alle porte, ma il freddo vero non era ancora arrivato. Indossai camicia bianca, maglioncino e calzoni scuri e uscii dalla caserma.

Naturalmente la sortita serale non sortì alcun effetto, tranne un conto del ristorante talmente salato da mettere in crisi l’intera nota spese della missione. Non parliamo di discoteche o locali notturni, perché non è proprio il caso: in giro si vedevano solo militari. Oltre alla Scuola infatti Aosta ospitava l’omonimo battaglione operativo, sempre di Alpini. Se gli AUC, com’era lecito aspettarsi, trascorrevano la maggior parte del tempo in addestramento o puniti in caserma, tutti gli altri dalle diciotto alle ventitré sciamavano letteralmente per le vie cittadine. Dopo una breve passeggiata, sufficiente per prendere confidenza con la città e la sua toponomastica, già studiata a tavolino prima di partire, me ne tornai al mio alloggio: decisamente non valeva la pena di cercare una residenza alternativa. Oltre a tutto, se ne avessi avuto la possibilità, vivere in caserma mi avrebbe aiutato ad entrare in confidenza con qualcuno.

Riguadagnai la foresteria senza ulteriori indugi. Prima però mi capitò un episodio divertente. Per raggiungere il circolo sottufficiali passai, anziché dal piazzale principale, attraverso una piccola strettoia che s’insinuava tra la mensa truppa ed un campo da tennis. In effetti non era il percorso più breve, bensì la conseguenza di una deformazione professionale: studiare l’ambiente, impadronirsi del contesto è un automatismo al quale non si fa neanche più caso, dopo tanti anni di addestramento. Così se dal punto “A” devo raggiungere il punto “B”, è difficile che compia due volte lo stesso tragitto. Purtroppo quando arrivai in fondo al viottolo finii praticamente addosso ad un allievo di guardia, che proprio in quell’istante sbucava dall’angolo della mensa.

«Giri al largo!» gridò subito questi, spianandomi il fucile sul muso con un fare a dir poco minaccioso. In una frazione di secondo mi sovvenne prima che le guardie giravano generalmente senza colpo in canna e poi che quel ragazzo era, tutto sommato, nel suo diritto: questo salvò a lui la vita e a me la missione.

 

§

 

Conobbi Manara il mattino successivo, alle ottozerozero, come dicono i militari. Comandò direttamente l’alzabandiera e riuscì a stupirmi già durante la cerimonia.

Per assistere al rito quotidiano mi ero scelto un angolino in prima fila: la truppa era schierata alla perfezione, nessuno si muoveva, se non a seguito di un ordine – non solo gli AUC, ma gli stessi Alpini della compagnia comando. Quando già mi apprestavo ad uscire dallo schieramento vidi che Manara, anziché dare il “rompete le righe”, passava lentamente in rassegna i quattro plotoni della compagnia AUC, quasi li vedesse per la prima volta. Lo seguiva un capitano, evidentemente il comandante di quegli uomini. Mi chiesi perché diavolo tenesse sugli attenti anche noi. Dopo un po’ fummo lasciati in libertà: i due si salutarono ed io notai che, mentre il colonnello si avviava verso gli uffici, l’altro – visibilmente incazzato – dettava una serie di appunti ad un sottotenente.

Dannazione, c’erano troppe cose che non capivo, e non mi piaceva per niente. Giusto per eccesso di zelo, poco prima di partire per Aosta avevo invitato a cena un amico che nel Genio ci lavorava veramente, e ad un certo punto avevo portato il discorso sulla vita militare. L’impressione era che la quotidianità non fosse assolutamente cambiata, rispetto a quando avevo fatto la naja io, una decina d’anni prima. Così mi augurai che le stranezze percepite alla “Battisti” costituissero peculiarità proprie delle Scuole Ufficiali – o, ancora meglio, di quella scuola.

Mentre i ragazzi, arringati dai loro superiori, s’allontanavano di corsa dal piazzale, mi accodai tranquillamente al colonnello. Mi tenevo ad una certa distanza, per non costringerlo prima del dovuto a prendere atto della mia presenza, che certamente non gli era sfuggita: potevano essere cambiate le consuetudini, ma gli uomini – soprattutto i colonnelli – erano sempre gli stessi.

«Avanti!» ringhiò una voce dall’interno dell’ufficio, dopo che il furiere mi ebbe indicato la porta ed io bussai.

«Comandi! Maresciallo capo Antonio Vinti» dissi sugli attenti, una volta entrato.

«Riposo, si accomodi» disse Manara, indicandomi una sedia. «Ha fatto buon viaggio? Ha riposato bene? So che ha dormito in foresteria.»

«Tutto bene, signor colonnello.»

«Il suo incarico qui dovrebbe durare più o meno sei mesi; ha intenzione di cercarsi un alloggio, o le va bene la caserma?» I suoi occhi non smisero per un istante di fissarmi, anche se l’impressione fu in realtà quella d’essere “frugato” senza ritegno da un esperto proctologo. “Bravo, Manara, scruta pure” pensava la parte più intima di me, quella che lui non sarebbe mai riuscito a raggiungere. “Mi vedi? Sono già diventato un guerriero. E lo resterò finché voglio.”

«Ringrazio per l’offerta» dissi invece. «La foresteria andrà benissimo.»

«Bene. Sarà aggregato alla Seconda compagnia AUC. In realtà lei sarebbe alle mie dirette dipendenze, ma proprio oggi è iniziato l’ “intercorso”, durante il quale per un intero mese la Seconda sarà l’unica compagnia operativa del battaglione. Quindi lei risponderà direttamente al capitano Borghi. Per l’otto gennaio, quando arriverà il Centoseiesimo Corso, vedremo di organizzarci diversamente. Cerchiamo di capirci subito, maresciallo: immagino che questa sia la sua prima esperienza in un reparto alpino.»

«Signorsì.» Lo sapeva benissimo: aveva certamente già consultato l’incartamento che mi riguardava.

«Ecco. Qui lei dovrà interagire con due formidabili soggetti. Il primo è lo stesso che incontrano tutti gli Alpini: la montagna. Spero che abbia un minimo di pratica, ma anche in questo caso non sottovaluti mai l’ambiente in cui si troverà ad operare: qui ad Aosta ci trasferiamo in un paio d’ore dalla serena tranquillità della cittadina di provincia alle tormente invernali d’alta quota, dalle quali non sempre si esce indenni. Non sottovaluti neppure l’equipaggiamento di cui sarà dotato, e segua alla lettera le disposizioni. Durante le uscite non abbassi mai la guardia, anche se questo, detto ad un artificiere, può apparire irriguardoso.» Fece una pausa, forse per darmi l’opprtunità di ribattere. Non feci una piega, anche se in effetti le sue parole mi colpirono.

«Il secondo è il capitano Borghi. Si tratta di un eccellente ufficiale. Ora… Qui noi abbiamo cinque mesi di tempo per trasformare… no, diciamo per tentare di trasformare dei ragazzini in uomini degni di comandare trenta Alpini, con tutti i problemi ed i pericoli del caso, inclusa appunto la montagna. Il tempo è decisamente poco e quindi siamo costretti a bruciare le tappe. Ne consegue non solo che l’addestramento è condensato, ma anche che il nostro atteggiamento dev’essere in qualsiasi momento… coerente. Non possiamo trascurare nessun dettaglio. Dobbiamo capire chi ha i numeri per diventare ufficiale e chi non li ha. Nello stesso tempo dobbiamo individuare ogni minimo disallineamento, rimarcare il più piccolo errore, perché questi ragazzi capiscano una volta per sempre cosa ci si aspetta da loro, qual è l’atteggiamento giusto da tenere nei confronti di superiori e subalterni. Non dobbiamo lasciarci scappare la minima occasione, perdonare la minima mancanza. Fin qui sono stato chiaro?»

«Signorsì.»

«Quando parlo di coerenza, naturalmente, voglio dire non solo che dobbiamo essere duri con gli allievi, ma anche che dobbiamo essere duri nei confronti di tutti.»

«Inclusi i sottufficiali.»

«Nei limiti del possibile» ammise, con una sfumatura di rassegnazione. Evidentemente, far digerire il concetto di “scarponi lucidi” a qualche maresciallo cinquantenne della manutenzione non era una cosa semplice. Ma non dubitavo che il buon Manara ci provasse da sempre, con costanza infinita, anche a costo d’utilizzare qualche volta le buone maniere, andando contro la propria indole… Ero convinto d’aver già inquadrato il personaggio.

«Il capitano Borghi attua questi principi alla perfezione: io stesso non saprei fare di meglio» continuò il colonnello, mentre da parte mia iniziavo a capire in quale sottospecie d’inferno m’avesse precipitato il Vecchio Bastardo: questi stronzi ci credevano, dal primo all’ultimo. «Esegua gli ordini alla lettera, così non sbaglierà mai. Si faccia consegnare il materiale di casermaggio appena uscirà da qui. Armi ed esplosivi, invece, li concorderà di volta in volta col responsabile dell’addestramento, il maggiore Lolli. Quali esperienze ha maturato, fino ad ora?»

«Ho trascorso parecchio tempo all’estero, colonnello. Quasi sempre in ambito NATO, ma a volte anche alla dipendenza d’ambasciate italiane, per lo più in Africa e Sudamerica.»

«Bene» disse Manara, ma io udii: “controlleremo”. Che ci provasse pure.

 


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