L'amaro
calice dei generali L'episodio
è modesto. L'interesse che può suscitare consiste forse unicamente
nel fatto che nessuno, fino ad ora, lo ha raccontato e solo io posso raccontarvelo.
Infatti esso ebe soltanto due altri attori o spettatori: i generali Ricagno e
Pascolini, carissimi e fraterni commilitoni e compagni di sventura.
È
noto a tutti che il giorno 28 gennaio 1943 tutti e tre cademmo nelle mani dei
Russi nei pressi del villaggio di Waluiky.
Fummo subito separati
dai nostri ufficiali e soldati e, il mattino seguente, mediante tre viaggi successivi
di un piccolo aeroplano biposto, trasferiti a Bobrow, piccola città sulla
sinistra del Don, sede temporanea del Comando supremo dell'esercito sovietico. Rinchiusi
in una cella di un sudicio carcere civile zeppo di detenuti di ambo i sessi, attendevamo.
Nel
pomeriggio del 3 febbraio 1943 ci trasferirono in una casa sita nelle vicinanze
del carcere, l'intenso via vai di soldati e di automezzi denunciava senza meno
la presenza di un alto comando operativo. Infatti, dopo breve attesa, ci introdussero
in una grande stanza nella quale un generale d'armata conversava con alcuni ufficiali
superiori. Il
generale era un bell'uomo, forse cinquantenne, aitante, imponente, distinto, con
l'uniforme in perfetto ordine. Si vedeva che non veniva, come noi tre, da 10 giorni
di lotta senza quartiere attraverso la steppa gelata.
Ci
squadrò con evidente curiosità ma con umana comprensione perché
eravamo veramente mal ridotti.
Con fare distaccato ma corretto
si presentò come Maresciallo Wassilievky, capo di Stato Maggiore dell'Esercito
sovietico e ci rivolse alcune domande di scarso rilievo. Il colloquio durò
poco perché sopraggiunse un ufficiale che consegnò un foglio al
Maresciallo. Questi lo lesse in silenzio e poi disse, in tono solenne rivolgendosi
a tutti i presenti: "In questo momento mi giunge notizia dal fronte che la
Sesta armata germanica, accerchiata a Stalingrado, ha capitolato: 32 generali
e 190.000 soldati prigionieri". Si
trattava, evidentemente, di una notizia che gli ufficiali di quell'altissimo comando
attendevano da vari giorni con ansia giustificata ma con sicura fiducia. Però
ancora oggi rivedo nitidamente la scena patetica di quella partecipazione ufficiale
del comandante a tutti i suoi collaboratori; la risento accolta con palese soddisfazione,
punteggiata da esclamazioni euforiche di giubilo invano trattenute.
Il
Maresciallo si allontanò subito, seguito da tutti i dipendenti.
Con
una succinta frase aveva archiviato una vittoria; si allontanò rapidamente
come se avesse fretta di prepararne un'altra. Noi
fummo ricondotti in carcere ove trascorremmo disperati i primi giorni della nostra
settennale prigionia.
Emilio Battisti Da "Penna
Nera delle Grigne", 140-141, aprile-maggio 1966 Torna
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Note: Emilio Battisti, comandante
della Divisione Cuneense, campagna di Russia 1942-43 Umberto Ricagno, comandante
della Divisione Julia, campagna di Russia 1942-43 Etevaldo Pascolini, comandante
della Divisione Vicenza, campagna di Russia 1942-43 |