Mainardo Benardelli
Biografia
Mainardo Benardelli (Gorizia 1964), figlio di Gualtiero, è come lui “alpino” e diplomatico di carriera. Ha prestato servizio in Uganda, Paesi Bassi, Sri Lanka ed Iraq. Ha deciso di curare questo libro per varie motivazioni: il senso filiale di affetto ed ammirazione verso la figura paterna, il comune amore verso la montagna, ed infine il desiderio di condividere con gli altri appassionati della montagna il valore di queste lettere.
Dalle “Lettere” di Gualtiero traspare la nostalgia per la libertà, momentaneamente perduta (e massimo bene dell’Uomo), la forza tranquilla e pacata, il coraggio fisico e spirituale, l’amore per la famiglia, la Patria e la montagna, del tutto esenti dall’abituale retorica dell’epoca. Lettere sincere, che costituiscono un ponte gettato oltre le sponde di un minaccioso nulla, al di là del silenzio, del potere annichilente della rabbia, del vuoto, dell’agra ragione. Le sobrie parole di Gualtiero sono in realtà un omaggio all’amore ed alla vita, od almeno al suo surrogato che è la prigionia. Ogni lettera esprime una solennità sobria e meditata, trasferisce sul lettore odierno un peso specifico che è necessario considerare. Gualtiero si fa inconsciamente filosofo, anche se con termini semplici e di speranza. C’è, fra le “Lettere”, una profonda umanità, ma anche un’amarezza che Gualtiero tenta di nascondere, riuscendovi solo in parte. Una voglia di amore, di confidenze, specialmente con la famiglia lontana, attraverso parole che resistono al tempo ed alla corrosione. Sono lettere intime, ma, allo stesso tempo e in una certa misura, aperte e dialogiche. Gualtiero parla con i suoi cari, ma anche con se stesso, con il proprio mondo, le esperienze, i dubbi, le certezze. Finisce però per rivolgersi anche ad un destinatario ideale: il proprio “io”, in cui molti, forse tutti, possono identificarsi. Lettere solide, che conservano sempre il coraggio naturale del sentimento, che è proprio ed esclusivo della virilità autentica. Ed il lettore scopre una dolcezza che resiste nonostante tutto, nonostante la prigionia, i sacrifici e l’isolamento.
Per comunicare con il mondo esterno e anche con se stesso, Gualtiero si muove sul filo sottile sospeso tra una capacità lucida e quasi filosofica di riflessione e, dal lato opposto, un’inclinazione all’emozione: sentimenti che si congiungono nell’azione, nelle continue ascensioni che descrive minuziosamente. Ciò gli consente di dimostrare sempre nelle sue “Lettere” una naturalezza che contiene in sé, in modo del tutto spontaneo, la meraviglia. Viene evocata la zona d’ombra tra dolore e anelito vitale, tra vuoto e sogno. Gualtiero, senza volerlo, ha accenti lirici nella descrizione dei paesaggi montuosi dell’Himalaya. Si tratta di un libro di meditazione sulla grandezza, ma anche caducità, dell’uomo e sull’esilità dell’esistenza. L’Autore, tramite la volontà ed il sacrificio, la serenità e l’amore, finisce per ribadire che l’umanità è ancora presente ma solo se si riscoprono il valore della natura, della montagna e del creato.
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