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Chissà come, chissà quando era arrivato alla Caserma Mario Fiore di Borgo S. Dalmazzo, chissà quali peripezie avevano tormentato la sua vita. Il suo regno era la Caserma, la sua residenza stabile la palazzina Comando, con una particolare inclinazione per il retro della cucina della mensa Ufficiali, dove consumava solennemente il suo pasto giornaliero costituito da una rigorosa dieta, definita “quel che passa il convento”. Lui non chiedeva, esigeva la sua ciotola, e che fosse ben colma! I famigli della mensa conoscevano i suoi gusti e facevano a gara per trovare negli avanzi dei signori Ufficiali i bocconi più succulenti Non so perché ma Topi mi adottò: io, fresco Sottotenente poco più che ventenne, non avevo mai avuto cani ed, anzi, li temevo un po’. Temevo in particolare quei due Pastori Tedeschi, cani da valanga, che avevano le loro sontuose cucce presso le scuderie, accuditi dai due sergenti maggiori cinofili che portavano sulle braccia, ed uno sul viso, i segni tangibili delle loro affettuosità. I due signori delle valanghe seguivano le nostre marce nella neve, in coda, ed io avvertivo, non senza una certa apprensione, il loro alito caldo ed il loro respiro anelante troppo vicino ai miei polpacci quando arrancavo nella neve sulle peste di centocinquanta alpini che mi precedevano, come un lungo serpente scuro, sulle candide distese dei monti della Val Maira. Annusando ovunque riuscivano a scovare nella neve calpestata ogni segno del nostro passaggio, una grattata con le poderose zampe anteriori ed ecco apparire mozziconi di sigaretta, carte di caramelle, bucce di salame, torsoli di mela, le bustine in plastica trasparente del Cordiale della Naia e (leggenda o realtà?) i blister di quelle particolari pastiglie che pare che il nostro Capitano prendesse, là in cima alla colonna, per sopportare meglio, lui ormai quasi quarantenne, l’indiavolato ritmo di marcia che i nostri giovani garretti appena avvertivano anche sotto l’ingrato peso dello zaino affardellato. Loro avevano il loro ruolo, la loro matricola ed i loro bei pezzettoni di carne scelta a pranzo, lo sapevano ed erano ben consci dell’importanza del loro incarico di cerca persone sotto le valanghe. L’ARVA non c’era a quei tempi e loro erano l’ultima speranza per alpinisti e sciatori ghermiti dalla morte bianca nelle valli del Cuneense Topi non aveva bisogno di incarichi speciali per sentirsi speciale. Lui marciava fiero alla testa della Compagnia sugli itinerari che aveva già percorso con chissà quanti scaglioni di Alpini del Saluzzo, conosceva il passo da tenere perché anche il più mona non “tirasse l’ala”, in testa aveva il preciso orologio che scandiva i cinquanta minuti di marcia ed i dieci di agognata sosta, come da Regolamento. La sera quando stanco mi ritiravo nella mia camera, Topi mi seguiva, si acciambellava davanti alla porta e, con un occhio semiaperto e vigile, godeva il meritato riposo. Mi seguiva ovunque in caserma o in marcia, nelle marce notturno e nelle uscite diurne dove le reclute apprendevano i dettami della “Circolare Mille” sull’addestramento al combattimento. Si sedeva attento sull’erba e riascoltava per l’ennesima volta la teoria dello sbalzo ed i segreti del passo del leopardo. Qualche volta mi è parso, osservandolo, che, ammiccando con gli occhi, annuisse alle mie parole, ma forse era il vino della mensa! Sarà certo capitato anche a voi, specie nelle serate invernali, quando la luce lattiginosa del giorno lascia il passo alle prime brume della sera, di provare quel senso di languida nostalgia per la casa lontana, per la tiepida sabbia delle nostre spiagge, per i momenti di condivisione con gli amici, per le affettuose carezze della “morosa”: ebbene Topi se ne accorgeva e imperiosamente spingeva il suo muso sotto il mio braccio e mi fissava con quei grandi umidi occhioni castani per rincuorarmi, per farmi sentire meno solo. Nelle lunghe marce, quando il peso dello zaino sembrava schiacciarmi, quando il sudore mi colava sugli occhi sino a farli bruciare, quando il respiro diventava ansimante, il berretto “da stupido” (“norvegese” per il Commissariato) ti macerava i capelli bagnati e gli scarponi parevano scarnificarti i piedi dentro i pesanti calzettoni di lana grezza, lui, Topi, mi sopravanzava di pochi passi colla sua andatura elastica e caracollante, voltava il muso a guardarmi:” Non mollare, diceva il suo sguardo, sei un Alpino!”.Lo zaino a terra, è l’agognata sosta, una carezza a Topi e subito la desiderata Malboro che ti bruciava i polmoni dilatati ed esasperati dal lungo sforzo. Topi controllava la colonna, trotterellando avanti ed indietro, osservando col suo sguardo esperto i visi sudati e contratti dalla fatica dei miei Alpini,qua rimediava una galletta, là una carezza, poco più indietro un boccone di carne in scatola, e poi tornava e nel suo sguardo leggevo la rassicurazione: “Tutto a posto,nessuno sta “tirando l’ala, possiamo ripartire: “ Compagnia, zaino in spalla!” e via sul ripido sentiero verso il passo che si intravede già dietro a quegli ultimi tornanti. La radiolina a transistor, sintonizzata su Radio Montecarlo ci allieta con le ultime canzonette del momento, le notizie ci incalzano: “gli americani stanno viaggiando verso la luna” e mi pare strano e terribilmente romantico che, invece, la nostra sospirata meta sia “soltanto” il passo di Larussa.Trionfo di tecnologie avveniristiche là, qui solo sudore antico e passo lento e ritmato sulle pietre eterne di questo maledetto sentiero che pare non finire mai. Là il gracchiare delle radio di Cape Canaveral, qui il latrare affettuoso del mio Topi ed il fischio preoccupato delle marmotte in fuga al nostro appropinquarci. Naia Alpina, ci prepariamo con fatica e con dedizione al compito di difendere la nostra cara Patria come prima di noi fecero i nostri padri ed i nostri nonni su montagne spesso lontane e sconosciute, su ghiacciate distese bianche o su assolate sabbie e pietraie, nel fango e nella neve, contro nemici sconosciuti e dai nomi impronunziabili. La nostra tecnologia sono i buoni polmoni e le gambe d’acciaio, tanta passione per la montagna e l’orgoglio di essere Alpini. Venne il giorno della separazione: il Colonnello mi chiamò nel suo ufficio e, burbero e sbrigativo, mi comunicò che avrei dovuto accompagnare i muli delle salmerie al sito designato per i pre-campi estivi, vale a dire Limonetto, sul Col di Tenda, seguendo la strada carrozzabile in marcia notturna. Notte fredda e serena, traffico quasi nullo. Odiavamo marciare sull’asfalto, Alpini e muli, e la stanchezza della giornata trascorsa piano piano prese tutti quanti. I conducenti procedevano ad occhi chiusi, tenendo lente le capezze dei muli, i muli seguivano la bianca Gallina capo-colonna anche loro semi addormentati. Ogni tanto conducente e mulo derivavano verso il centro della strada, un urlo e tutti di nuovo allineati. La marcia sonnolenta continuava sul duro asfalto della Statale quando un brivido percorre la colonna, un’ombra saetta veloce risalendo la lunga teoria dei muli, qualche animale scarta spaventato, qualche conducente bestemmia sottovoce trattenendo la capezza: Topi in pochi balzi e’ a fianco a me, mi guarda con rimprovero e si allinea alla colonna. Sono passati molti anni da quei giorni, ho ancora desiderato un cane mio, ora da buon pensionato ce l’ho, una grigia lupa cecoslovacca assatanata ed affettuosa. A volte, quando con lei passeggio sui sentieri dei nostri monti liguri, mi ritorna struggente il ricordo di quel “mio” primo cane e, commosso, voglio pensare che lassù nel Paradiso degli Alpini il Generale Cantore abbia trovato un posticino per il “mio” Topi . Quando sarà scoccata la mia ora, spero mi aspetti scodinzolando felice per una passeggiata che non avrà più fine.
Armando Balzo
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