Les neiges d'antan
di Mario Grigioni
“Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus”. L’esametro del XII secolo, ultima frase del capolavoro “Il nome della rosa” di Umberto Eco, ci ricorda che tutto svanisce nel nulla, ed alla fine non resta che un nome, un segno, un ricordo.
La settimana scorsa, mentre navigava pigramente su YouTube, Fiorenzo si imbattè casualmente nello storico video di “Piccola Katy” dei Pooh, hit del 1968 (la versione originale, quella con il parlato di Riccardo Fogli a metà canzone). Il testo, che oggi fa sorridere per la sua ingenuità, ha però un valore speciale per chi era sotto naja in quel periodo, poiché fu la colonna sonora del felice periodo da massima e dell’imminente congedo. Come tale, ha quindi la capacità di scatenare una struggente serie di ricordi…
A quei tempi, la Scuola Militare Alpina si chiamava SMA e non Smalp (in realtà, l’acronimo Smalp esisteva già, ma era utilizzato soltanto nel suo ruolo istituzionale di indirizzo telex), era alle dirette dipendenze dello Stato Maggiore Esercito, ed aveva dimensioni tali da essere equiparata ad un Reggimento. Il reparto corsi, alla Cesare Battisti di Aosta, era articolato su due battaglioni (AUC ed ACS) con sei compagnie (due AUC e quattro ACS) da 160 allievi ciascuna, ed era affidato a un colonnello comandante di Reggimento, con le stellette bordate di rosso. Ogni anno, si svolgevano quattro corsi AUC ed otto corsi ACS, quindi il sistema “processava” complessivamente circa 1800 allievi all’anno.
Ai tempi di Fiorenzo, la Cesare Battisti era comandata dal colonnello Italico, grande figura di ufficiale-gentiluomo piemontese, già circondato da un alone di leggenda per il suo passato di comandante partigiano nel Cuneese. Il colonnello Italico, in linea con il suo stile asciutto e rigoroso, non dava molta confidenza ai giovani ufficiali subalterni (“quando ero il comandante partigiano Gianaldo, mi chiamavano GianLei perché davo del Lei a tutti…”), dai quali però sapeva bene di essere stimato ed apprezzato. Naturalmente, non mancò qualche piccolo incidente di percorso, come successe a Fiorenzo durante il suo primo servizio da ufficiale di picchetto.
Il colonnello Italico arrivava puntualissimo in caserma ogni giorno alle 8.00, e la sua accoglienza era regolata da un rigido protocollo. Appena la sua auto blu di servizio svoltava l’angolo di via Lexert, la sentinella in garitta dava l’allarme suonando tre volte il campanello; il sergente d’ispezione urlava “fuori la guardia” e l’AUC di sottopicchetto si preparava al centro dell’androne per presentare la forza. Era previsto che l’ufficiale di picchetto, in piedi davanti alla porta del corpo di guardia, salutasse in silenzio. Questo processo presentava parecchi aspetti critici: la guardia doveva essere schierata just in time, come si direbbe oggi (doveva essere pronta, ma senza tempi morti d’attesa); il sottopicchetto doveva imparare a memoria il suo rapporto, e leggerlo con voce stentorea senza impappinarsi; e, naturalmente, il trombettiere doveva fare echeggiare i suoi squilli senza stonare.
Ma, quel giorno, a steccare clamorosamente fu proprio colui che avrebbe dovuto dirigere l’intera operazione, l’inesperto sten Fiorenzo.
Era previsto che, esattamente alle 7.45, il pavimento dell’ingresso fosse risciacquato con acqua fredda ma, colto dal timore di essere in ritardo, Fiorenzo fece eseguire l’operazione alle 7.20. Il malcapitato non si rese conto che, così facendo, per le 8.00 il pavimento sarebbe asciugato completamente, perdendo quel senso di freschezza che il comandante esigeva.
Inoltre, per complicare ulteriormente le cose, verso le 7.30 un carabiniere motociclista recapitò alcuni dispacci urgenti, destinati proprio al colonnello, che Fiorenzo avrebbe dovuto registrare prima di consegnarli.
E così, gli squilli di tromba lo sorpresero mentre, chino sul brogliaccio, stava registrando l’ultimo messaggio. Completò l’operazione, si mise il cappello, sistemò la sciarpa e il cinturone e, col plico dei dispacci in mano, uscì dall’ufficio, ma era troppo tardi.
Il colonnello Italico, fermo davanti alla porta, lo trapassò con lo sguardo:
“E lei, Fiorenzo, è così occupato da non avere il tempo di salutare il suo colonnello comandante?”
“Scusi signor colonnello, stavo registrando questi messaggi indirizzati a Lei…”
“E poi, si dia da fare. Non vede come è grigio questo pavimento, lo faccia pulire subito !”
Più tardi, al circolo, Fiorenzo venne accolto dalle risate generali (“Ehi Fiorenzo, come mai hai un’aria così arruffata ? Per caso qualcuno ti ha dato una ripassata stamattina ?”), e gli toccò pure offrire un giro di aperitivi: cornuto e mazziato, avrebbero detto a Napoli…
Ma, un giorno, fu lo stesso colonnello Italico a riferire un episodio del quale era stato protagonista. Al circolo ufficiali, ove si era recato per prendere un caffè, qualcuno notò che il colonnello, pur essendo chiaramente di buonumore, sembrava sofferente ad una mano.
“Cosa c’è, signor colonnello, si è fatto male alla mano ?”
“Sono stato a Torino, a rapporto da un generale a due stelle che mi ha proposto un progetto al quale mi sono fermamente opposto. A un certo punto, mi ha apostrofato ‘…eh, caro il mio Italico…’, io mi sono molto irritato, ho ribattuto ‘prego, io sono il colonnello Italico’, ho dato una manata sulla scrivania così forte da incrinarne il vetro e me ne sono andato. Mi sono fatto un po’male alla mano, ma ne valeva la pena, mi sono tolto una soddisfazione !”
Recentemente, dopo avere combattuto l’ultima delle sue tante battaglie, il comandante Italico è andato avanti, entrando definitivamente nella leggenda. Ma, proprio come dice Umberto Eco alla fine del libro, il suo ricordo rimarrà intatto nel tempo.
In ricordo del generale Italo Berardengo (1918 – 2010)
Grigioni
Mario - Ha frequentato il 48° corso AUC nel 1967. Dopo il periodo da sergente
presso il battaglione Pieve di Cadore, ha prestato servizio di prima nomina
alla Smalp, come comandante di plotone alla Prima compagnia AUC ed istruttore
di trasmissioni. È dirigente d'azienda a Milano.
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