La nostra guerra
di Lodovico Dotti
Torino, 27 Ottobre 2005
Oggi ho compiuto quindici anni e qualche giorno in più (17.885).
Lo zaino è un po’ più pesante ma, come Ufficiale degli Alpini, mi sento forte, fortissimo, con l’aiuto di Dio, e continuo a combattere.
Lo zio Lodovico, Ufficiale paracadutista della Folgore, di cui vi ho già parlato, ha continuato a combattere fino all’ultimo attimo di vita. Ed io mi chiedo spesso che differenza c’è tra le mie battaglie, le nostre battaglie, e quelle che lui, semplicemente, e quindi eroicamente, ha combattuto fino alla fine.
Provo a immedesimarmi in lui, nella sua vita, nella sua epoca, e lo posso fare perché da bambino la zia Mirella, sua sorella, mi leggeva le sue lettere dal fronte africano (tirate fuori da un baule polveroso nascosto in soffitta) ed io facevo domande molto semplici perché non capivo alcune cose.
Non capivo soprattutto cosa fosse la guerra, cosa fosse veramente il dovere di combattere per la patria (allora si diceva per “Dio, Patria e Famiglia). La cosa che mi turbava più di tutte era pensare che, in guerra, avrei dovuto lanciarmi contro il nemico sconosciuto e scegliere, in quell’attimo, tra la mia vita e la sua. Non ero sicuro della risposta che mi sarei dato, e non ne sono sicuro ancora adesso. Perché ho capito che una risposta non c’è. Come non ci fu quando il Tenente Lodovico Artusi morì colpito da una granata di un soldato nemico che aveva finto di arrendersi e per questo era stato risparmiato.
Oggi credo di aver capito la risposta che non c’è.
Per l’Ufficiale della Folgore Artusi, e per i suoi coetanei, dato che allora c’era la guerra, la vita e la guerra erano la stessa cosa, e il dovere di vivere per “Dio, Patria e Famiglia” era il dovere di combattere per “Dio, Patria e Famiglia”. E la morte non aveva alcuna importanza. Anzi la morte conseguente al compimento del proprio dovere era l’Infinito desiderato dagli Eroi. Cosa avrei fatto io in guerra? Cosa avremmo fatto noi, Ufficiali degli Alpini, in guerra? Non ho dubbi: ci saremmo lanciati in avanti, come il Tenente Lodovico Artusi, lasciando a Dio la risposta sulle nostre vite.
Ho capito che è per questo che sto bene con Voi, Ufficiali del 39° corso, perché sento che ci lanciamo sempre in avanti, nelle nostre vite, semplicemente, per amore del dovere, e quindi eroicamente, contro il nemico sconosciuto, incuranti della morte, perché gli Alpini non muoiono: semplicemente vanno avanti.
Grazie a Dio che ci ha fatti ritrovare. Le battaglie ci sono più lievi ed il riposo, dopo le battaglie, è sereno, su un soffice prato, protetto da un bosco antico, in un silenzio che non fa paura perché non siamo soli.
Vi abbraccio tutti.
Lodovico.
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