La buca l'è nen straca...
di Mario Grigioni
“Fieuj partoma senti le fanfare con le trombe ch’a sono d’antorn, sensa gogne ‘mbrassé vostra mare, peui an marcia al segnal d’ij tambor…”
La “Marcia dei coscritti piemontesi” è un canto popolare di fine ‘800, caduto nell’oblio e riscoperto dopo un secolo dal maresciallo Sergio Bonessio, direttore della fanfara della Taurinense. Da allora, è diventato l’inno ufficiale della Brigata e, di conseguenza, di tutti gli Alpini del Piemonte.
Eseguita più volte dalla fanfara del locale Gruppo ANA, questa bella Marcia è stata il leit motiv della Festa Alpina di Caluso, svoltasi il 15 ottobre in ricordo dell’amico Franco.
Sotto la sapiente regia del grande Sandro, canavesano Doc e campione di solidarietà, la giornata ha alternato momenti di allegria con altri di grande coinvolgimento emotivo, e questo mix ha contribuito a farne un evento memorabile.
Quel giorno, a Fiorenzo venne assegnato il ruolo di autista per due personaggi importanti: il suo compagno di corso Pier Paolo e il tenente medico Ettore Gera (“el dutur”). Conscio della responsabilità che ciò comportava, egli decise pertanto di rispettare la versione più restrittiva della designated driver’s policy, quella che recita “no booze, no food” (in milanese, “bev minga e magnà nigott”). Come confermato da parecchi testimoni, Fiorenzo rispettò rigorosamente le consegne, nonostante le forti tentazioni conviviali.
L’accoglienza a Caluso fu cordiale e calorosa: mentre la fanfara riscaldava gli strumenti (naturalmente, sulle note della Marcia dei coscritti), un religioso nipote del 74° salutò Fiorenzo ed i suoi illustri passeggeri esibendosi in tre ginnici saltini.
Poi, dopo l’Alzabandiera, i convenuti (complessivamente circa settanta persone), si trasferirono nel giardino di Sandro per la cerimonia di commemorazione. Presso la “quercia di Franco” venne sistemata la targa offerta da Pier Paolo e, con la classe che lo contraddistingue, il Bruno Nazionale onorò la figura del nostro amico andato avanti, pronunciando un breve ed intenso discorso.
“Ed ora cominciamo la festa!” ordinò il Sandro, dopo avere smaltito la commozione.
Con grande sorpresa di Fiorenzo, che si aspettava un frugale rancio a base di Razioni K, il gruppo venne accolto in un grande salone (in grado di contenere almeno 200 persone), con tavoli bene apparecchiati e già equipaggiati con due versioni di Barbera, quella semplice e quella barricata.
Al suono della fanfara, cominciarono a circolare grandi vassoi di focaccia calda, affettati, acciughe al verde e tomini elettrici. Poi, dopo un’adeguata pausa di riflessione, ecco il piatto forte del pranzo: la mitica tofeja, piatto tradizionale canavesano, a base di fagioli conditi con cotenne di maiale. Qualcuno si chiese come mai, nel linguaggio popolare, i rotoli di cotiche aromatizzate preparati allo scopo si chiamino al previ [il prete], ma nessuno fu in grado di fornire una spiegazione esauriente.
Infine, in omaggio al proverbio citato nel titolo di questo racconto, vennero offerti dei plateau de fromage ai quali mancava soltanto il dono della parola: erano così belli che era un peccato mangiarli…
Nel pomeriggio, ecco un altro momento toccante quando il Guanda, con la semplicità e la modestia che caratterizza i grandi Alpini, presentò lo stato dell’arte del Racconto Futuro.
“Si scrive Kitanga ma si pronuncia Citanga” disse, mentre sullo schermo scorrevano le immagini di quei luoghi, così belli e tanto bisognosi di aiuto. Tutti si emozionarono vedendo le tante opere già realizzate, ed era impressionante il contrasto fra com’era e com’è oggi quel villaggio ugandese. Ma un velo di ghiaccio scese sulla sala quando Guanda spiegò l’esigenza di mantenere una sorveglianza armata “h24” presso il convitto: “Sapete, questa zona dell’Uganda è abbastanza tranquilla, ma ogni tanto sparisce qualche bambino, destinato ai sacrifici umani, e qui non intendiamo correre alcun rischio…”.
Ogni volta che ripensa a questa frase, Fiorenzo spera di avere capito male, magari il Guanda scherzava, è impossibile che succedano queste cose…
Durante i break dell’intensa giornata, non mancarono gli scambi di esperienze, naturalmente in tema di naja.
“Levami una curiosità: come mai hai tolto il numero del reggimento?” chiese un nipote del 74°, scrutando con occhio clinico il cappello di Fiorenzo”
“Avevo il 7 quando ero in Cadore da sergente, poi l’ho tolto per la prima nomina in SMA”
“Ah, ma allora ti sei imboscato”
“Ma io, veramente, a Tai comandavo gli esploratori, e in SMA avevo un doppio incarico, mi sono fatto un discreto mazzo…”
“Esploratori, AUC, tutti signorini. Io alla Julia ero alle salmerie, vuoi mettere che differenza comandare i conducenti?”
La giornata ormai volgeva al termine. Sandro aveva comunicato l’esito soddisfacente della raccolta pro-Kitanga (“naturalmente, a patto che sia solo l’inizio, ora dovremo fare il leverage con il resto della Lista”) e la fanfara stava salutando i partenti, quando il Fil pose una domanda inquietante:
“La Marcia dei coscritti termina con il verso L'è 'l Piemont ch'a-i dà a l'Italia soa pi bela gioventù. Secondo voi che cosa significa? Vuol dire che il Piemonte sceglie la sua più bella gioventù per darla all’Italia, oppure che la gioventù piemontese è la più bella d’ Italia?” La domanda, banale soltanto in apparenza, sottendeva in realtà aspetti etnici, sociali e geopolitici.
Nessuno fu in grado di fornire una risposta, tranne un bravo Alpino di Caluso che, in modo assai pragmatico, commentò: “Mi sai nen, par mi al fa l’istess”.
E così, meditando sull’interrogativo posto dal dotto Fil, Fiorenzo, Pier Paolo e El Dutur si misero in viaggio e, dopo una doverosa sosta al Consorzio dell’ Erbaluce, fecero rotta verso Milano.
Che giornata, Amici. Peccato per chi non c’era!
Grigioni
Mario - Ha frequentato il 48° corso AUC nel 1967. Dopo il periodo da sergente
presso il battaglione Pieve di Cadore, ha prestato servizio di prima nomina
alla Smalp, come comandante di plotone alla Prima compagnia AUC ed istruttore
di trasmissioni. È dirigente d'azienda a Milano.
Torna alla pagina iniziale
|
 |