Arabesque
di Mainardo Benardelli

 

Anche oggi il solito bollettino di guerra! Esplosione contro una delle moschee sciite in un quartiere periferico di Baghdad. Rappresaglie da parte delle Autorità governative (ma si possono definire così i componenti delle trucide squadracce della morte legate al Ministero dell’Interno o, piuttosto, a qualche partito fondamentalista?). Perquisizioni nelle abitazioni dei cittadini della componente arabo-sunnita. Sparizioni. Torture e massacri…
Ogni giornata trascorre così. E noi rinchiusi nel nostro (per la verità, non comodo) fortino, a contare i giorni che mancano alla fine di questa nostra missione… speriamo di uscirne presto, ed anche vivi, possibilmente!
Il mondo poi si diletta a commentare, a pontificare, a discorrere, sull’Iraq. Ognuno vuole dire la sua. Tutti sono esperti d’Iraq. Anche il portinaio della Garbatella ha le sue preferenze fra sunniti e sciiti. Il taxista che l’ultima volta mi ha portato ad un appuntamento in centro a Milano mi confidava che i curdi sono un’altra cosa…
Non passa giorno che in cento, mille, diecimila giornali si parli (si vomiti, avrebbero scritto gli artisti surrealisti) di Iraq. A favore o contro la guerra. La guerra. Ma quale guerra? Siamo all’incrocio geometrico, quale un tantra buddista, di tanti conflitti, che si intersecano, si affrontano, tornano in libertà, e ricominciano di nuovo. Mille linee, rappresentate da colori lampeggianti sugli schermi operativi della Coalizione. Luci tenui, e dietro vi sono uomini in divisa occhialuti che seguono passo passo l’evolversi degli scontri. “Monitoraggio”, dicono.
Con quanta liberalità si parla di Iraq. Nessuno a cui realmente importi di questo Paese, a cominciare dai propri abitanti, abituati da sempre alle vessazioni. Sentimentalismo buonista ovunque, anche da parte di ostaggi o di aguzzini. È questa la civiltà? O non è piuttosto moda, tendenza. Dobbiamo fare qualcosa. Ma cosa? Un corteo, ecco una buona idea. Ci organizziamo e sfiliamo davanti a quel babbeo del Sindaco, lui ha amici a Roma. Capirà.
Aspirazioni filantropiche? Mezzi singolari? Basta mettere in piedi una solida organizzazione: capi, sottocapi, segretarie, bandiere, tesorieri, militanti, aspiranti politici, politici veri, uomini-orwelliani, maiali-orwelliani. Tutto. Non è poi tanto difficile. E poi lo Stato ci viene incontro. Azione di persuasione verso lo Stato? Stato o “stato”? Stato delle cose? Stato-istituzione? Stato-Nazione? Stato-stato?
Sono le buone maniere del “politicamente corretto”. Tristezza, madama la Marchesa? O piuttosto realismo di come scorre la ruota della vita? Quale vita? Qui si parla di morte. Sangue. Mesopotamia vermiglia, come le bandiere rosse. O le bandiere verdi islamiche?
L’umanità è flessibile. Tutto passa. Tutto si consuma. Tutto torna. Produrre per distruggere. Un concetto antico. Antico come la guerra.
Anche alla SMALP le cose si ripetevano una ed una volta. Perfezione? Routine? Mancanza di fantasia? Attaccamento a valori consolidati? Vero idealismo? C’è ancora la SMALP o vive solo nei nostri cuori?
Mi viene in mente una storia che mi hanno raccontato qui a Baghdad. Avevo un buon amico, di religione cristiana ed origine armena. L’amico non c’è più. Ho avuto nella mia vita tanti amici. Buoni amici. Molti sono spariti. Dal Rwanda, dal Burundi, dallo Sri Lanka, dall’Iraq. Da posti vari. Qualcuno anche dall’Italia. Per non parlare delle fidanzate. Queste almeno si sono maritate, o almeno spero per loro.
Un bel giorno il mio amico Abu Nuwas (che il Misericordioso l’abbia in gloria) mi racconta che nella capitale del Califfato c’erano due grandi caserme: la Scuola Allievi Giannizzeri di Baghdad e la la caserma di Babil, unite da una piccola strada. Harun al-Rashid (che Colui a cui tendono tutte le creature lo riempia di doni) decise un bel giorno di sopprimere la Scuola, e di farla diventare un alloggio splendido per i suoi ospiti.
Il suo Gran Vizir (il Presidente del Consiglio dei Ministri, diremmo oggi, con assai meno grazia) Yahya ibn Khalid si oppose:
“Eccellentissimo Figlio del Profeta, ma perché mai devi sopprimere una così bella Scuola, che dà tanto lustro all’Impero? Tutti ce la invidiano, financo nel lontano regno dei Franchi”.
Il Califfo non lo degnò di uno sguardo e gli chiese di tornare dopo sei mesi.
Passarono sei mesi e il Califfo chiese al suo braccio destro:
“Apri gli occhi, mio buon amico Yahya: cosa vedi?”
“Figlio Illuminatissimo del Cielo, vedo molti soldati che lavorano sodo, ma hanno sul cappello una strana penna”
“E, secondo te, cosa stanno facendo?”
 “Non lo so, sembra che corrano da un posto all’altro”
“E c’è una logica nel loro correre perenne, senza mai fermarsi?”
“Immagino di si, ma non ne capisco la ragione”
“Vedi, mio buon Yahya, sopprimo la Scuola, da dove provengono questi bravi sudditti con la penna in testa, semplicemente perché al giorno d’oggi non vi è più posto per questi bravi soldati, pieni di ideali che la gente non comprende più. Sono ragazzi sani e forti, che hanno vegliato sulle frontiere del Califfato, dal Kurdistan alla Spagna. Altri debbono prendere il loro posto, pagati meglio e con meno scrupoli. Soldati fedeli a Mammona, e non agli ideali, di cui sembra a nessuno importi più in questi tempi. Questi sono capaci a correre, non fiatano mai a nessun ordine e farebbero qualsiasi cosa al mio comando. Non va bene. Il popolo non li capisce, e anzi nutre verso di loro strani sospetti”.
E l’onnipotente Califfo congedò il Gran Vizir, che peraltro, ogni anno, chiamò i fedeli Allievi nei vari siti dell’Impero per celebrare grandi feste, dove tutti si mettevano in testa quello strano cappello con la penna nera. Forse è meglio l’esercito regolare, senza tante penne (o idee) per la testa?

Io intanto oggi ho ammazzato l’ennesimo scarafaggio che gira nella mia stanza di notte. Morte. A tutti i livelli. Che sia questa la strategia del disimpegno per uno scarafaggio? Chissà cosa ne avrebbe pensato Kafka…

 

Mainardo Benardelli - ha frequentato il 113° corso AUC. Nato a Gorizia nel 1964, laureato in Scienze Politiche, è pubblicista e diplomatico di carriera dal 1991. È attualmente Vice Ambasciatore d’Italia in Iraq, dopo aver prestato servizio nelle nostre Ambasciate in Uganda, Paesi Bassi e Sri Lanka e, al Ministero degli Affari Esteri, nei settori culturale, della cooperazione allo svileppo e delle telecomunicazioni protette. Ha pubblicato un libro sotto pseudonimo (UMWANTISI, La guerra civile in Rwanda, Milano, Franco Angeli, 1997) e un centinaio di articoli di politica estera, pubblicati su "Affari Sociali Internazionali", "Affari Esteri", "La Patrie dal Friul", “Studi Piacentini” e "Limes".

 

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